UN PAESE  

DA SCOPRIRE

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

STORIA

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| CONTRIBUTO ALLA STORIA DI GALLICCHIO (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) | IPOTESI SULL'ORIGINE DEL NOME |

| ELENCO DEI FEUDATARI DI GALLICCHIO E MISSANELLO |

 

    

2. Origini di Gallicchio e primi feudatari.

 

Le prime notizie storicamente certe sull’esistenza del paese attuale si hanno solo dopo all'anno 1000. Nel 1059 si celebrò il primo concilio di Melfi, capitale della Contea di Puglia, presieduto dal papà Niccolò II che convocò i vescovi di rito latino e i conti normanni con lo scopo di raggiungere un' alleanza con i nuovi dominatori , che si erano già impadroniti di gran parte della Basilicata, della Puglia,  della Campania e della Calabria, e che lo avrebbero aiutato a perseguire la sua politica. L'assise rivendicò i diritti del papato sulle province ecclesiastiche di rito bizantino nel Sud Italia e avviò  una lotta per far scomparire la gerarchia bizantina e per sottomettere la Chiesa al primato di Roma . Niccolò II intervenne su alcune strutture del clero della Basilicata, elevando, in particolare, la diocesi di Acerenza ad arcidiocesi metropolitana. L'arcivescovo di Acerenza Godano ebbe l'incarico di latinizzare quelle chiese che nell'antico Tema di Lucania si dichiaravano soggette alla chiesa greca e siccome i vescovi di Tricarico e Montepeloso erano stati  deposti dal concilio perchè si erano rifiutati di accetttare il rito latino, Godano, dopo aver  unificato le due diocesi, consacrò  come vescovo di  Tricanico Arnaldo, pastore di rito latino. Con una bolla del giugno del 1060 l'arcivescovo Godano indicò la nuova giurisdizione  del vescovo Arnaldo a cui vennero affidati  54  tra chiese cappelle e monasteri esistenti sul territorio diocesano. Tra i 12 monasteri concessi viene annoverato anche il  “Monasterium Gallicclum", insieme  ai vicini monasteri  di Missanello, di Palumbara e di Galaso (in territorio di Armento) e di S. Vitale presso Guardia  Perticara.

Tra la fine del sec. X e i primi anni del secolo successivo, si moltiplicarono in tutto il Meridione i monasteri fondati da monaci bizantini, abitualmente detti Basiliani,  anche se, per alcuni, più che di veri monasteri si dovrebbe parlare di eremi o di minuscole chiese o semplicemente di grotte adattate a cappelle. Monaci eremiti giunsero in Calabria già nel secolo VII provenienti  dalla Siria, dalla Libia, dall'Egitto: lasciavano i loro paesi devastati dalle prime invasioni arabe (636-638). L'emigrazione continuò nel secolo VIII, anche in seguito alla persecuzione iconoclasta scatenata, nel 726, dall'imperatore Leone III Isaurico. I monaci che venivano in Italia per sfuggire all'ira iconoclasta dovettero dirigersi verso le zone dell'Italia meridionale longobarda (Calabria settentrionale, Lucania occidentale, Campania), perchè  nelle  regioni italiane direttamente dominate dai bizantini vigevano le stesse leggi delle zone orientali dell'Impero. Nacquero allora  i primi stanziamenti monastici del monte Bulgheria, a sud di Salerno, e del Mercurion,  (dal fiume Mercure) al confine calabro-lucano. L'importanza di queste sedi monastiche, poste sui monti ai confini calabro-lucano-campani, crebbe in seguito all'invasione araba della Sicilia, regione che nel 902 (caduta di Taormina) era già totalmente sotto il dominio musulmano. Quasi tutti i monaci che vivevano in Sicilia passarono, allora, lo stretto,  e si diressero a nord cercavando luoghi montani, meno soggetti alle scorrerie musulmane, dove fondarono i primi monasteri, anche se molti asceti continuarono a cercare la perfezione in una vita di perfetta solitudine. Dopo il  952  molte comunità italo-greche spaventate dalle voci della rapida e sanguinosa avanzata in Calabria dell’emiro El-Hassan che alla testa di numerose orde mussulmane stava per invadere il Mercurion, si spostò nella zona del Latinanion nel medio corso del fiume Sinni. Li conducevano  nella loro marcia S.Saba da Collesano e suo fratello S.Macario i quali, giunti nei pressi di un gran castello, eressero un monastero fortificato dedicato al santo martire Lorenzo. Da qui S.Saba diede inizio alla sua azione pastorale e all’espansione del monachesimo basiliano in Basilicata.  

Le vite di alcuni famosi santi monaci italo-greci  forniscono  importanti notizie storiche anche sulla fondazione o sulla frequentazione di monasteri della nostra zona. San Luca di Demenna, città siciliana presso Alcara, dopo  un primo periodo passato nel monastero di S. Filippo di Argiro, sull'Etna, andò in Calabria ove s'incontrò con S. Elia di Reggio, lo Speleota, che viveva in una grotta presso Melicuccà; di qui, poi, in seguito all'invasione della Calabria dell'emiro Hasan, Luca risalì tutta la Calabria e si fermò presso Noia (l'attuale Noepoli) in Basilicata. Fondò, poi, il monastero di S. Giuliano, nell'alta Val d'Agri, e, quindi, quello dedicato alla Madre di Dio e a S. Pietro, presso Armento ove morì, assistito da S. Saba, nel 984. Probabilmente a causa dell'omonimia, si è confuso questo santo, di origine siciliana e morto in Basilicata, con l'altro S. Luca, nato ad Armento e fondatore intorno al 971 del celeberrimo monastero dei Santi Elia e Anastasio presso Carbone, dove morì nel 995 assistito sempre da  S. Saba. Un altro santo proveniente dalla Sicilia S. Vitale da Castronuovo, dopo essersi fermato prima a S. Severina, in Calabria, e poi a Petra Roseti (forse l'attuale Roseto Capo Spulico), passò  il Pollino e giunse  in Lucania dirigendosi verso S. Chirico Raparo. Alle falde di questo monte visse per qualche tempo in una grotta solitaria che poi abbandonò per  sostare, intorno al 968,  presso il monastero di S. Elia a Missanello. L'afflusso  continuo delle popolazioni vicine a quel cenobio attratte dalla sua fama di santo, lo costrinsero ad abbandonare il luogo per dirigersi verso Armento e Turri.  E' possibile che uno dei i primi abati del monastero di S. Elia che, che come abbiamo visto nel 968 esisteva già,  fosse  stato S. Senatro,  fratello di San Luca di Demenna, che visse e morì proprio in questo monastero.

Del monastero di Gallicchio, invece,  non si fa alcun cenno nella letteratura agiografica relativa ai monaci basiliani,  ciò nonostante è possibile che la sua fondazione sia legata alla venuta  nelle nostre contrade di santi come  di S. Vitale,  San Luca,  San Senatro. I  Basiliani avevano sviluppato tre forme di monachesimo: due più tipiche,  l'eremitica, la cenobica ovvero comunitaria,  e una terza speciale  detta lavra, poi laura, che raggruppava un certo numero di celle individuali o di grotte intorno a una casa comune.

Queste celle erano abitate da “semi-eremiti” che si radunavano insieme per il culto a scadenze settimanali.  La numerosa presenza di grotte nella  zona ai piedi del paese, attualmente detta non a caso "Fosso dei Monaci", sottolinea la possibilità che anche  a Gallicchio i Basiliani avessero sviluppato un insediamento organizzato in grotte. I monaci bizantini dopo essersi stanziati in un luogo venivano naturalmente a contatto con i poveri contadini che vivevano nelle zone circostanti, insegnando loro, oltre che  i principi della fede, i primi elementi della vita civile. I Basiliani curavano  il prosciugamento delle paludi e destinavano le terre incolte alla coltura dell’olivo, della vigna, del grano. Agevolando la piccola proprietà contadina, resero addirittura di uso comune i due contratti di enfiteusi (diritto di godere di un fondo altrui con l’obbligo di apportarvi migliorie e di corrispondere periodicamente un canone). Per organizzare il lavoro fondavano i casali, centri urbani di piccole entità. Niente di più probabile, quindi, che anche Gallicchio nascesse come un piccolo nucleo abitativo organizzatosi intorno al monastero basiliano, trasformandosi nel giro di qualche decennio in un borgo di più vaste dimensioni..

Alcune grotte del Fosso dei Monaci

Infatti se ancora  nel bolla del papa Pasquale II del 13 aprile 1102 , che riconfermava  al vescovo di Tricarico tutte le terre, le chiese e i monasteri citati nella bolla di Godano, Gallicchio  viene ancora citato come  monastero dipendente da quello più famoso di Carbone, nella bolla del papa Callisto II del 1123, che definisce la circoscrizione territoriale del nuovo  vescovo di Tricarico, Pietro,  Gallicchio, come gli altri centri vicini,  figura non più come monastero,  ma come parrocchia. Si era, quindi, sicuramente costituita una comunità di fedeli la cui cura pastorale era affidata a un parroco. Il  processo di rilatizzazione della lucania bizantina, iniziato nei territori controllati dai  normanni  con  i concilio di Melfi del 1059, sembra a questa data completato, essendo subentrate le parrocchie rette dal clero di rito latino ai piccoli monasteri amministrati dai monaci di rito greco.

All'inizio del XII sec. l'egemonia normanna  si era ormai estesa  a tutto il mezzogiorno, Sicilia compresa. Nel 1130 Ruggero II d'Altavilla  (1101-1154), dopo una lunga lotta col cugino Guglielmo, fu incoronato ad Avellino da papa Anacleto re di Sicilia, Calabria e Puglia. Ruggero II conquistò poi tutti gli altri territori appartenenti ai Normanni di Melfi, il ducato Napoli, che aveva fino ad allora mantenuto l'indipendenza, ma anche il principato di Capua, ed estese i propri domini anche  agli Abruzzi. Nella sua lunga reggenza Ruggiero ebbe il merito di dare un ordinamento ed una legislazione unitaria al Regno: egli prima trasformò i vecchi feudi in Camerariati e Giustizierati (  nasceva così il Giustizierato di Basilicata) e successivamente istituì appositi registri (quaterni fiscales) per definire adeguatamente i confini dei feudi.

Il mappamondo di El Edrisi  nella riproduzione per il re Ruggero di Sicilia

Intorno al 1145 fu invitato a Palermo, alla sua  corte, El Edrisi,  un geografo arabo che aveva viaggiato per tutti i paesi del mar mediterraneo. Nel El Edrisi 1154 realizzò  per il sovrano un planisfero, inciso su una lastra d'argento, andato purtroppo distrutto in occasione d'una sommossa contro il sovrano  Guglielmo I di Sicilia  nel marzo 1161 ,  al quale s'accompagnava un famoso libro di geografia " Liber ad eorum delectationem qui terras peregrare studeant" (Il sollazzo per chi si diletta di girare il mondo, Kitāb nuzhat al-mushtāq fī ikhtirāq al-āfāq), chiamato "il libro di Ruggero" (Kitāb Rugiār o Kitāb Rugiārī), finito verso il 1154. L'opera, che è un'eccezionale testimonianza della cultura geografica del XII secolo, è particolarmente imortante per la storia di Gallicchio perchè il geografo arabo descrivendo la Basilicata e più in particolare la Val d'Agri così annota: " (...) anche il fiume Agri ha la sua sorgente sul versante occidentale nel monte Sirino (...); nel retroterra da cui ha origine questo fiume sono città e castelli. Da Tursi a Monemurro sono dodici miglia, tre miglia intercorrono tra Montemurro e Armento (....) Sei miglia sono da S. Arcangelo al castello di Missanello e due da questo munitissimo castello a Gallicchio".  La relazione  di El Edrisi  ci conferma che nel 1154 Gallicchio esisteva già come paese.

Durante il regno di Ruggero II,  tra il 1150 e il 1152,  fu  redatto dalla Duana Baronum,  l'ufficio regio preposto agli affari feudali,   un altro importantissimo documento: il Catalogus Baronum  (Catalogo dei Baroni) l'elenco , cioè,  dei nomi dei feudatari (sia di quelli che detenevano feudi in capite de domino Rege, ossia, ricevuti direttamente dal re, sia di coloro che li avevano ottenuti da un conte o da un barone), lo stato giuridico dei feudi, e l’entità del servizio militare dovuto in relazione al loro possesso,  essendo previsto l'obbligo di fornire al sovrano   "miles", ossia un cavaliere armato con armigeri e scudieri, per ogni 20 once di rendita feudale. Nel 1161,  nel corso della già citata rivolta contro Guglielmo I, successore di Ruggero II,  il Catalogo venne gettato, insieme a quasi tutti gli altri documenti amministrativi del Regno, nel grande falò acceso nel cortile del palazzo reale, e andò distrutto. Dopo la soppressione della rivolta, il Catalogo venne ricostruito,  largamente a memoria, dal notaio  Matteo D'Ajello e  venne completato e rivisto tra il 1167-68, durante il regno di  Guglielmo II  che  impose ai feudatari di fornigli il doppio dei militi " pro auxilio magna speditione ad Terram Sanctam".  Il Catalogus Baronum  è un preziosissimo strumento  per accertare  l'identità dei signori, l'estensione delle loro proprietà e, quindi, per ricostruire la storia e la toponomastica dei luoghi in esso citati. Purtroppo per quanto riguarda l'individuazione del feudo di Gallicchio il testo pone qualche problema di interpretazione. Infatti nella sezione relativa al Principato di Taranto  (De Principatu Tarenti), circoscrizione territoriale della Contea di Tricarico (De Comestabulia Comitatus Tricarico; De Montepiloso), dopo aver  parlato dei possedimenti in Aliano superiore, Aliano inferiore, Turri e Guardia di un certo Givano Rubeus, il curatore del catalogo aggiunge:

 

"Isti sunt qui tenent de praedicto Givano.

Guillelmus de Caelum tenet de eo, sicut dixit, in Aliano inferiori feudum I. militis. et cum augmento obtulit milites II. et servientes IV.

Alexander de Gallipoli tenet de Gallipolim, quod est feuduml I. militis. et cum augmento obtulit milites II. et servientes IV.

Guillelmus de Messanello tenet de praedicto Alexandro fratre suo Messanellum, quod est feudum I. militis. et cum augmento obtulit  milites II. et servientes IV."

 

Tralasciando le considerazioni che si potrebbero fare sulla figura di Givanus Rubeus di cui, comunque, non si comprende bene il ruolo,  la parte del testo che attira immediatamente l'attenzione è  l'uso del  toponimo   "Gallipolim"  riferito al feudo in possesso di  Alessandro, fratello del  feudatario di Missanello Guglielmo.  Sembra, infatti, difficile che possa trattarsi della Gallipoli città pugliese,  attualmente  in   provincia di Brindisi, che pure a all'epoca già esisteva e faceva parte del Principato di Taranto, per l' enorme distanza che intercorre tra questa e altre le località  menzionante nel catalogo come appartenenti alla Contea di Tricarico, nè tantomeno dell'antica città di Gallipoli che doveva sorgere in Basilicata nella zona dell'attuale Parco di Gallipoli-Cognato,  perchè nello stesso catalogo si legge prima: "Goffridus Tortamanu dixit quod tenet feudum in capite  a Domino Rege in Montorone, feudum II militum (....). De Gallipoli quod tenet in montanea debet inquirere Camerarius",  e poi  "Goffridus Tortamanu dixit quod tenet Gallipolum de Montana qui est feudum I. militis e cum augmento obtulit II milites.", da cui si desume che quella città veniva indicata come Gallipoli di Montagna e apparteneva a Guglielmo Tortamano.  Si può, quindi, pensare che ci sia stato un errore  del curatore dell'opera,  o dei copisti che l'hanno nel tempo  trascritta,  nel riportare il  nome latino di Gallicchio, che appare nei documenti antichi sempre sotto forme diverse (Gallicclum, Calichium, Gallucium, Gallichium), tenendo anche presente che spesso ancora oggi Gallicchio viene confuso con Gallipoli.   D' altronde i luoghi citati nel passo del catalogo che ci interessa,   Aliano, Guardia , Missanello, sono tutti a pochi chilometri in  linea d' aria dal nostro paese , e la stessa Turri, antico borgo scomparso dopo il 1324, sorgeva nei pressi del fiume Agri,  come tesimonia El Edrisi nel Libro di Ruggero: " (...) il fiume Agri (...) arriva a Turis e a Sant'Arcangelo fronteggiandoli alla sinistra  di un miglio e mezzo dalla prima località  ma molto meno dalla seconda". Si potrebbe, perciò, ipotizzare  che   l' "Alexander de  Gallipoli" del Catalogus Baronum fosse il primo feudatario di Gallicchio e che avesse ceduto il feudo di Missanello al fratello Guglielmo  nel momento in cui gli erano stati infeudati e concessi i  nuovi possedimenti  D'altra parte,  visto che Gallcchio non viene citato in nessun altro luogo del catalogo,   sarebbe impensabile che potesse restare, durante la dominazione normanna,  al di fuori  di qualsiasi feudalità,  pur essendo presumibilmente un piccolo nucleo abitativo.

Stemma della famiglia Messanello

Nella genealogia della famiglia Messanello di Carlo De Lellis, riportata in "Nuove Luci Lucane" dei fratelli Robertella,  Alessandro e Guglielmo, figli di un altro Guglielmo,   figurano rispettivamente come il 3° e il 4° signore di Missanello. Il capostipite dei Messanello era un certo Osmondo (o Osmundo), uno dei tanti cavalieri giunti in Italia come mercenario, al seguito del nobile normanno Roberto il Guiscardo, che per premiarlo della sue imprese lo aveva nominato  Signore di Missanello (feudo da cui aveva preso il nome) col titolo di Cavaliere. Si sa che Osmundo nel 1071  aveva fatto costruire a proprie spese  la chiesa e la Badia di S. Stefano, in Marsico Nuovo e l' aveva donata  poi al Vescovo di quella città. Nel 1092 aveva presenziato a una donazione effettuata in favore del monastero della S.S. Trinità di Venosa: "Anno 1092. Guillelmus foelicis memoriae Raynaldi Maleconvenientis cognomento filius donat supradicto Monasterio (S. Trinitatis de Venusio, n.d.r); praesentibus Roberto Grammatico, Rogerio S. Martini, Roberto de Sarcuni, Goffrido filio Aitardi, Osmundo de Missanello, Goffrido Crasso, Malgerio S. Iuliani, Nigellus Malecumvenientia qui venit ad mortem legavit, Roberto Grammatico, Guillelmo de S. Clari ac Guillelmo Halecumvenientiae nepoti suo". 

A Osmundo successe, poi,  il figlio primogenito Guglielmo, padre dei signori Alessandro e Guglielmo citati, come visto,  nel Catalogo dei Baroni 

Sembra, dunque, che intorno al 1167 la linea dinastica della famiglia Missanello si fosse divisa in due rami: quello principale dei signori di Missanello e quello dei signori di Gallicchio, ma se del primo conosciamo grazie a De Lellis (Famiglie nobili, 1656) tutti i vari discendenti, del secondo non sappiamo nulla fino al ricongiungimento con il ramo principale che avvenne, come vedremo, alla fine del XIV secolo con Giacomo II Messanello.