6. Dai Coppola ai Lentini
Quando nel 1656 scoppiò la peste, ancora più
funesta di quella del 1630, il Principe Giovan Giacomo III
era già morto, e il figlio Don Antonio Coppola ,
2°
Principe di Gallicchio,
4° Marchese di Missanello e Signore
di Castiglione, si trovò a fronteggiare una situazione
davvero difficile, soprattutto a Gallicchio dove la
popolazione subì un notevole calo, passando dai 111 fuochi del
1648 ai 70 fuochi del 1669. La peste del 1656 , che da Napoli si diffuse in tutte le province
del Viceregno e che durò per circa un anno, fu per l' Italia meridionale un vero e
proprio flagello: due terzi della
popolazione furono sterminati prima dalla malattia e subito
dopo dalla carestia. Proprio nel 1656 Don Antonio e la
madre, Donna Crisostoma Caracciolo, contrassero un debito di
5.229 ducati, con l'interesse annuo di 159 ducati, nei
confronti dei notabili gallicchiesi Cesare e Antonio Di Stefano. Don
Antonio morì prematuramente e senza eredi e così i
feudi passarono al fratello minore Don Andrea Coppola,
3° Principe di Gallicchio,
5° Marchese di
Missanello e Signore di Castiglione, che nel 1665, all'età
di 15 anni, fece testamento in favore della zia Beatrice
Carafa De Lannoy, sorella uterina di Crisostoma, con
l'obbligo per chi avesse ereditati i suoi feudi d’inquartare
nel proprio stemma l’arma dei Coppola.
Non sembra però che
Don Andrea Coppola
morisse, come i principali storici gallicchiesi
hanno ipotizzato, a ridosso di quell'anno.
Infatti da un elenco
dei "Signori Titolati, che sono in Regno messi in
ordine d'Alfabeto"
(Del Regno di Napoli,1671) risulta che un rappresentante
della famiglia Coppola era Principe di Gallicchio e
marchese di Missanello nel ancora 1671, mentre in una nota dell'
"Elenco
dei cavalieri del
S. M. Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, ricevuti
nella veneranda lingua d'Italia, dalla fondazione dell'
ordine ai nostri giorni, compilato Francesco Bonazzi di San
Nicandro nel 1897"
si trova
la seguente notizia riguardante Don Andrea:"Dai processi del Priorato di Capua conservati nei Gran
Priorato delle Due Sicilie si rileva che nel 1683 fu pure
ricevuto Andrea
Coppola figlio di Giovan Giacomo Prìncipe di Gallicchio."
In realtà il testamento di Don Andrea è fuorviante riguardo
alla successione dei feudi, perchè
Beatrice Carafa non li ereditò dal nipote, ma se li aggiudicò
all'asta nel il 6 aprile 1672 come si legge in un
altro documento conservato nell'Archivio di Stato di Napoli
(Notai '600), rinvenuto sempre
dall' Arch. Lucia Caradonna: "il 28 febbaio del 1651 nel S.R.C
(Sacro Regio Consiglio, n.d.r)
appesso agli atti compare Donna Beatrice Carafa, Principessa di Noia e di
come ritrovandosi creditrice di diverse quantità di denari, di capitali,
terze et interessi dell'illus. Gio Giacomo Coppola Principe di
Gallicchio e di Missanello, sotto il 6 aprile prossimo de 1672
s'è aggiudicate le terre di Gallicchio e Missanello".
Nello stesso anno il Supremo tribunale
del Regno riconobbe Donna Crisostoma Caracciolo creditrice
nei confronti del defunto marito Don Giacomo Coppola, e degli
altri creditori di costui, per poter recuperare la dote
maritale in ducati 25.555.
Nel 1679 alla morte di Donna
Beatrice Carafa De Lannoy, che aveva rinunciato ai
titoli di Principesssa e di Marchesa,
entrò in possesso dei feudi
di Gallicchio, Missanello e Castiglione, il figlio Giovan
Battista Pignatelli. Nell' "Istrumento" di vendita dei feudi di
Gallicchio, Missanello e Castiglione di cui diremo più
avanti, questo feudatario viene
identificato con il Principe di Marsiconuovo e di Molterno,
ma sembra possa trattattarsi di un errore
dovuto a un'
omonimia.
Nel
1685, quando il nostro
Giovan Battista Pignatelli era ancora in vita,
il Principe
di Marsiconuovo era sicuramente Fabrizio Pignatelli che
faceva parte di un altro ramo dell'illustre famiglia
napoletana e che in
quell'anno acquistò il feudo di Moliterno, mentre il titolo
di Principe di Moliterno fu acquisito da un suo discendente
solo
il
22
gennaio del 1743.
Il
nostro feudatario era, in realtà, figlio del
2° Principe di Noia, Giulio I Pignatelli ultimo marito di
Beatrice Carafa.
La nobildonna napoletana, nata
nel 1610 da
Don Giovanni
2°
Duca di Noia e Donna Giulia di Lannoy, 3° Duchessa di
Boiano (madre anche di Donna Crisostoma Caracciolo),
ebbe una vita affollata di matrimoni, essendosi
sposata ben tre volte: la prima il
4-5-1626, all'età di sedici anni, con Don Giacomo Caracciolo, 2° Duca di
Sicignano,
Signore di
San
Gregorio, Recigliano e Pietramala dal 1614, che morì pochi
mesi dopo il matrimonio; la seconda il
13-9-1631
con
Don Carlo
Carafa , 4° Marchese d’Anzi per refuta paterna, dal quale
ebbe come unico figlio Don Francesco Maria Carafa , 2°
Principe di Belvedere, 5° Marchese di Anzi, 5°
Marchese di Rocca Cinquemiglia e Signore di Trivigno dal
1652; la terza il 27-3-1638 con Don Giulio I Pignatelli, 2°
Principe di Noia . Da questo matrimonio nacquero 8 figli:
Giovanni Battista,
Fabio, Giustiniana,
Diego, Teresa, Andrea,
Giuseppe e
Nicola Pignatelli, nessun dei
quali però poteva ereditare il titolo e i feudi del padre,
perchè questi
dal precedente matrimonio con Zenobia Pignatelli aveva avuto
il
futuro 3º principe di Noia e
5º duca di Monteleone, Fabrizio Pignatelli al quale era
succeduto poi il figlio
Ettore
Pignatelli, 4º principe di Noia, 7º duca di Monteleone. Per questo
Beatrice Carafa fece testamento in favore del suo
secondogenito Giovan Battista Pignatelli lasciandolo erede
dei feudi di Gallicchio, Missanello e Castiglione, con la
clausola di versare ai fratelli Nicola e Diego la
somma di 5000 ducati ciascuno. Il testamento fu, però,
impugnato sia dai fratelli Pignatelli che da Francesco
Antonio Di Stefano che vantava un credito di
15.229 ducati, derivanti dal prestito di 5.229 fatto dai suoi avi al Principe
Don Andrea Coppola, comprensivo gli
interessi maturati, per cui Giovan Battista Pignatelli, pur di assicurarsi
l'eredità, versò la somma dovuta ai due fratelli e si impegnò a
saldare il debito nei
confronti del Di Stefano. Ma nel 1683, quattro anni
dopo questa transazione, il Pignatelli non era
riuscito ancora a mantenere l'impegno preso con
Francesco Antonio
Di Stefano, di conseguenza il figlio di questi, il Dott. Giuseppe Di
Stefano, chiese il sequestro dei feudi di Gallicchio,
Missanello e Castiglione, che due anni dopo, il 26-10-1685
si trovarono sul punto di essere venduti. Dopo lunghe ed
estenuanti trattative nel 1699 i feudi furono acquistati in parola da
Elisabetta
Van den Einden Piccolomini,
che era imparentata con Giovan Battista Pignatelli,
essendo questi fratello uterino
di Don Francesco Maria Carafa suocero
di Elisabetta.
Elisabetta
faceva parte di un illustre famiglia di origine fiamminga. Il capostipite della famiglia
Van den Einden,
Giovanni,
era un mercante delle Fiandre che, arricchitosi con
il commercio del grano, si era dato al più nobile mestiere
di banchiere riuscendo, grazie alla sua attività, ad
intrattenere relazioni personali con i Vicerè ed a diventare
uno dei personaggi più in vista di Napoli (i napoletani lo
chiamavano “Vandìn”. Con la ricchezze accumulate
riuscì ad acquistare anche un titolo nobiliare per il figlio
Ferdinando che diventò marchese di Castelnuovo e potette
così sposare Olimpia Piccolomini, aristocratica senese nipote del
Cardinale Celio. Ferdinando, che scelse
Napoli come residenza per sè e per le sue
clientele (come molti altri potenti commercianti
nordeuropei) ebbe tre figlie delle quali solo due si
sposarono: Giovanna con
Giuliano Colonna, Principe di
Galatro e la nostra Elisabetta con
Carlo Carafa,
3° Principe di Belvedere, 6° Marchese di Anzi e Signore di
Trivigno. Delle doti di Giovanna e Elisabetta
facevano parte anche alcuni quadri del pittore
napoletano
Luca Giordano presenti nell'inventario della prestigiosissia collezione di Ferdinando Van Den Einden, che
commerciando con le Fiandre e paesi del Nord anche opere
d'arte, aveva favorito insieme al socio Gaspare Romer la
circolazione a Napoli tra la prima e la seconda metà
del seicento di nuovi gusti e correnti stilistiche:
"infra di queste opere (di Luca Giordano ndr), notate come
in un catalogo, saper deesi, che quelle che apparteneano a
D. Ferdinando Vandeneiden, furono poi assegnate, con le
altre ricche suppellettili tra le doti ricchissime a due
Principi, cioè al quel di Sonnino che fu D. Giuliano Colonna
Romano, ed a quel di Belvedere D. Carlo Carafa nostro
Napoletano, a cui l'anzi detto D. Ferdinando sposò le due
belle, non che nobili ed oneste sue figliuole" (Vite dei pittori,1672)
Così i
Van den Einden, di giovane
nobiltà, riuscirono nel giro di due generazioni ad
imparentarsi con alcuni dei più illustri casati italiani,
ognuno dei quali aveva tra i suoi antenati almeno un papa.
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Palazzo Van
Den Einden, dal
1688 Villa Carafa di Belvedere.
Nel 1672 Ferdinando Vandeneyden si fece
costruire dall'architetto Buonaventura
Presti la bella villa nel cuore del villaggio
del Vomero. La decorazione del salone centrale fu
affidata al Maestro Luca Giordano che
realizzò due splendidi dipinti con scene
mitologiche. Morto Vandeneyden la
villa fu ereditata dalla bella figlia Elisabetta,
prendendo il nome dello sposo Carlo Carafa Principe
di Belvedere. |
Elisabetta
Van den Einden Piccolomini
amministrò con il figlio Francesco Maria Carafa, i feudi di
Gallicchio Missanello e Catiglione per mezzo di subalterni
fino al 26 agosto del 1736 quando venne stipulato un
"Istromento" di vendita tra la
stessa Elisabetta
e
il nuovo padrone, proveniente da Monopoli, il
Barone Don Cesare Lentini. In verità il Prof. Sanchirico
(Gallicchio, 2009)
che ha potuto esaminare l' "Istromento
di compravendita delle terre di Gallicchio e Missanello
stipulato tra la principessa di Belvedere e D. Cesare
Lentini", conservato nell' Archivio parrocchiale di
Missanello,
ha riportato come data del documento il 26 agosto 1732, salvo poi
egli stesso pubblicare l' estratto di una relazione sulle
condizioni socio-economiche della Basilicata del 1736
dalla quale risulta che in quell'anno la Terra di Gallicchio era
ancora in possesso dalla Principessa di Belvedere,
Elisabetta
Van den Einden..
Nel 1734 i
Borboni, dopo la
guerra di secessione polacca e dopo la
breve dominazione degli
Asburgo (1707-1734), si
erano insediati a Napoli e in Sicila, dove regnarono fino al
1860. Quandò salì al trono
Carlo III di Borbone,
figlio di
Filippo V di Spagna e da
Elisabetta Farnese,
per conoscere le reali condizioni del Regno di Sicilia e del
Regno di Napoli, intraprese un viaggio che, attraverso
la Puglia e la Basilicata, lo portò in Calabria e in
Sicilia. Nel 1735 si intrattenne per due giorni in
Basilicata rimanendo profondamente colpito dalla condizioni
di vita e di civiltà di questa provincia del suo
regno. Infatti, non appena ritornò a Napoli, dispose
un'inchiesta e il ministro Bernardo Tanucci incaricò l' avvocato
fiscale della Regia Udienza Provinciale di Matera,
Gaudioso, di
redigere una esatta descrizione della Basilicata. Dalla
relazione di Gaudioso emerge lo stato di abbandono e
arretratezza della Provincia che era divisa in
quattro Ripartimento, aveva come capoluogo la città di
Matera e contava una popolazione di poco superiore ai
250.000 abitanti, distribuita in
117 centri abitati . Di Gallicchio, collocato nel
Ripartimento di Tursi, si legge:
"La terra di Gallicchio
distante miglia sei dalla sopraddetta (Alianello)
ritrovasi edificata in loco scosceso, avendo la prospettiva
verso oriente, venendo abitato da 850 persone tutte dedite
ed applicate alla coltura del territorio che produce grano,
orzo e altre vettovaglie. L'Università paga alla Regia Corte
per le imposizioni ordinarie e straordinarie da ducati 69.
Viene posseduta dall'illustre Principessa Belvedere con la
rendita di ducati 300 in circa, che ricava dal feudale
e burgensatico destinandosi dalla medesima il governatore
per l'Amministrazione della Giustizia, senza provvisione. Vi
è la parrocchia o sia la Chiesa Madre servita da un
arciprete, un cantore ed un solo sacerdote semplice con la
rendita di pochi censi essendovi una sola cappella sotto di
S. Maria del Carmine, jus patronato dell'istessa Università.
Nello spirituale va compresa col Vescovo di tricarico, a cui
se li corrispondono annui ducati 16 del clero suddetto,
oltre la quarta parte di tomola 50 di grano che esigge
il predetto clero dall'Università in virtù di transazione
delle decime".
Dalla
genealogia dei Principi Carafa Belvedere del Libro d'oro
della nobiltà mediterranea risulta, in verità,
che Elisabetta
Van den Einden Piccolomini,
che morì a Napoli 14 febbraio 1743, rimase baronessa
di Gallicchio e Missanello fino al 1737, anno in cui Niccolò Parrino, stampando a Napoli
la trasduzione
integrale effetuata in dialetto calabrese dal poeta
apriglianese Carlo Cosentino (1671-1758) della
Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso con testo a fronte,
la dedicò nello stile magniloquente dell'epoca "All'
Eccellentissimo Signore D. Francesco Maria Carafa
, Principe di Belvedere, Principe di Gallicchio
e Marchese di Anzi & c."
(la
dedica è firmata da Niccolò Parrino con la data del 22 dic.
1737). Don Francesco Maria Carafa,
4°
Principe di Belvedere, 7° Marchese di Anzi e Signore di
Trivigno, figlio di
Elisabetta
Van den Einden Piccolomini,
continuava, dunque , a fregiarsi
del titolo di Principe di Gallicchio ancora alla fine del
1737. Il perchè poi il titolo Principe di Gallicchio
a cui i precedenti feudatari, a partire da Beatrice Carafa,
avevano rinunciato venga di nuovo alla luce ora con
Francesco Maria è difficile dirlo: occorrerebbero
indagini più approfondite sulle norme che regolavano la
successione e l'acquisizione dei titoli nobiliari.