4. I Coppola
Filippo Coppola, figlio di
Francesco, apparteneva a un' antica e nobile famiglia iscritta al
seggio di
Portanova
che per più generazioni era stata impegnata nell'attività mercantile.
Nel 1275 Tommaso Coppola prestò, insieme ad altri, mille once d'oro al re Carlo
I d'Angiò, ottenendone in pegno la corona imperiale ornata di pietre
preziose. Nel 1316 Ligorio Coppola fu Mastro della Zecca ed
avendo accumulato molte ricchezze con il commercio, prestò una grossa somma di denaro
a re Roberto II d'Angiò ricevendo in pegno molti argenti.
Nel 1348 un Filippo Coppola fu uno degli
Otto della città di Napoli. Ma fu durante i primi decenni del regno aragonese che i Coppola
costruirono la loro maggiore fortuna emergendo sia sul piano economico che su
quello politico. il personaggio più prestigioso di questa famiglia fu senza
dubbio Francesco Coppola che nel 1464 ottenne dal re di Napoli Ferdinando I le
terre di Sarno, e il relativo titolo di conte, come ricompensa per i
servigi resi durante la guerra contro i turchi nel 1480.
La sua azione fu
determinante sull’esito finale della guerra, perchè oltre a fornire mezzi di
sostentamento per i soldati impegnati, inviò diverse navi da guerra. Francesco,
che aveva eccezionali doti di uomo d'affari, divenne in breve tempo ricchissimo e
potentissimo con il favore del re. Divenne uno dei Sette ufficiali del regno e
ricoprendo la carica di Grande ammiraglio non solo poteva gestire tutta la
flotta, ma era anche esonerato dal pagare qualsiasi diritto per le sue merci. Fu
proprio questa sua posizione di prestigio a comprometterlo politicamente e ad
attirare l'ostilità del Duca di Calabria, il futuro
Re Alfonso II ,
che lo calunniò presso il padre.
Nell’agosto
del 1486 fu arrestato con l'accusa di aver ordito la Congiura
dei Baroni per mettere sul trono Renato d'Angiò e fu tra i pochi a
subire la tremenda vendetta del re Ferdinando I che lo fece giustiziare l'11
maggio
1487 in
Castel Nuovo a
Napoli. Ai figli di Francesco, che rimasero per lungo tempo prigionieri a
Castel dell'Ovo, toccò una sorte diversa. Mentre Marco, intrapesa la carriera
ecclesiastica, divenne vescovo di Montepeloso, Filippo continuò la tradizione
mercantile della famiglia. Summonte (Historia,
1648-50) e De Lellis (
Famiglie
nobili, 1656)
sono concordi
nell'affermare che egli dopo la disgrazia della sua famiglia cercò in ogni
modo di rientrare nelle grazie dei sovrani napoletani, tanto da armare una galea, con
i danari prestati dal padre ad alcuni amici, che era riuscito a riscuotere, e con
le rendite dei feudi della moglie Francesca Gattola,
e di metterla a
disposizione del
Re Ferdinando II d’Aragona, detto il Cattolico durante le guerra contro i
francesi. Nel 1500 il re francese
Luigi XII duca d'Orléans
tentò di occupare il
regno di Napoli alleandosi con Ferdinando il Cattolico. Le truppe spagnole
giunte a Napoli per difendere il re
Federico I, aiutarono, invece, i Francesi nell'occupazione del regno.
Federico, tradito dal cugino spagnolo, si arrese subito mentre Ferdinando, Duca
di Calabria, fu catturato e mandato prigioniero nella Navarra, regione della
Spagna settentrionale Filippo Coppola, nel 1512, tentò di liberare il Duca di
Calabria, ma fu catturato e condannato a morte dai francesi che nel
frattempo avevano riconquistato la Navarra . Le
cronache attribuiscono a Filippo una morte eroica e patriottica.
Dal matrimonio di Francesca Gattola e
Filippo Coppola era nato Decio che Summonte (Historia,
1648-50)
definisce "cavaliere molto onorato" e che
nel 1558 fu ambasciatore presso Filippo D'Austria
alla corte di Bruxelles.
Fu proprio questo Decio il primo feudatario di
Missanello, Gallicchio e Castiglione, della famiglia Coppola. Sappiamo, infatti,
che quando
anche lui come il padre e il nonno si compromise gravemente, durante il tentativo di conquista del Regno
di Napoli dell'esercito francese guidato dal generale Lautrec, fu accusato di tradimento e i
suoi possedimenti in Basilicata furono concessi al colonello Tamis Balescalon.
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Stemma della
famiglia Coppola
Arma:
d'azzurro
alla coppa d'oro sostenuta da due leoni d'oro
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Gli eventi che coinvolsero
Decio I Coppola si verificarono negli anni 1527-1529
e causarono gravi ripercussioni per tutto il Mezzogiorno perchè i
feudatari si schierarono parte per gli spagnoli e parte per i francesi. Durante
la guerra sia il re francese che quello spagnolo compensarono i loro soldati
con i beni dei ribelli e alla fine del conflitto tutta una serie di antiche
famiglie feudali erano scomparse sostitute dai nuovi signori,
soprattutto spagnoli. L'imperatore
Carlo V cercò di rimediare a questa
situazione con due indulti, uno del 23 aprile 1529 e uno del 28 aprile 1530, con i
quali venivano restituiti i beni a coloro che si erano esposti. Decio, che
evindentemente si era seriamente compromesso a favore dei francesi, fu escluso
da enrambi gli indulti come si ricava da un documento edito da Nino Cortese
(Feudi e feudatari, 1929): "Detius Copula baro Messanelle quo ad ea de
quibus non fuit remissus". Egli, tuttavia, potè riacqiustare i feudi
compensando il colonnello Tamis Balescalon con ottocento ducati, quando nel 1530
si costituì una commissione per riesaminare i casi, come risulta dal Summario
pubblicato dallo stesso Cortese in "Feudi e feudatari" : "Not que porque fueron
concedidos a los dichos Tamis dos castillos llamados Messanella y
Galluccio, que fueron de Deio Copula, acusado de rebelde, con assenso del
Principe se concordaron por DCCC ducados y restituyo el dicho Tamis los
Castillos. Por rebellion de Claudio Fillo Maria y Decio Copula fueron concedidos
todos sus bienes al coronel Tamis, ya dicho, qatroziendos scudos al âno ..
Not. que, como dicho es el dicho coronel y los otros concessionarios por DCCC
ducados restitueron a Decio Copula totus sus bienes con assenso".
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Decio I Coppola, che sposò,
non si sa esattamente in che anno, Camilla Mormile, aveva l' esperienza e le
conoscenze di un uomo di mondo, tanto che il poeta Luigi Tansillo (Venosa 1510 -
Teano 1568) scrisse nel terzo dei suoi "Capitoli giocosi e satirici":
Or se l’uscir di Napoli
vi spiace,
cercate onesti altri piacer, secondo
a la persona vostra si conface.
Posando de le cure il grave pondo,
or col nostro Falcon volate al cielo,
or andate col Coppola pe ’l mondo.
Alla corte di
Bruxelles, dove si trattenne dal 1558 al 1559, Decio I fu , secondo De
Lellis (Famiglie nobili, 1656 ) " riputato da quei grandi di Spagna per cavaliere di
singolare prudenza e valore, alieno da qualunque privato interesse "
Morto Decio I, nel
1562 gli successe nel possesso dei feudi di Missanello, Gallicchio e
Catiglione il
figlio Giovanni Giacomo I (+ 12-9-1572) che sposò Giulia, figlia di Giovanni
Battista Venato, patrizio Napoletano, e di Lucrezia Torres (risposata a Camillo
Severino). Da questo matrimonio nacquero molti figli tra i quali il famoso, per
chiunque si sia occupato della storia di Gallicchio, Decio II. É opinione comune,
infatti, che egli sia stato il primo
Principe di Gallicchio: il titolo gli sarebbe stato conferito nel 1591 dal
re
Filippo II d'Aragona . Anche il Prof. Sanchirico, che pure presenta nel
sua opera (Gallicchio, 2009) una linea dinastica dei Coppola diversa da
quella descritta in "Nuove Luci Lucane", desumendo la notizia da Vincenzo
Spreti (Enciclopedia, 1930) concorda con i fratelli Robertella
nell'affermare che Decio II avesse aggiunto al titolo di Marchese di Missanello,
ottenuto dal padre, quello di Principe. Su questa convinzione
si fonda l'ipotesi che Decio II nel 1591, terminata la costruzione del
Palazzo, attualmente detto Baronale, avesse spostato la residenza da
Missanello a Gallcchio, ipotesi che sarenbbe supportata anche da un notevole aumento, in
quel periodo, della popolazione di Gallicchio che passò dai 40 fuochi del 1561 e
1586, ai 98 fuochi del 1595. Dai Fratelli Robertella (Nuovi luci,1989) che
hanno attinto dalla tradizione e dai manosctitti di due autori gallicchiesi, il
notaio Don Vincenzo Mazziotta (Cenni storici su Gallicchio) e il reverendo Don
Stefano Attolini (Alcune memorie di Gallicchio e dei Gallicchiesi), Decio II
viene descritto come un principe crudele che fece sentire tutto il peso della sua
tirannia alla popolazione maltrattata, sfruttata, vilipesa e violata nei
suoi diritti. Pare che
Decio II esercitasse anche il turpe jus primae noctis, cioè il
diritto di un signore feudale di trascorrerre, in occassione del matrimonio di
un proprio sudditto, la prima notte di nozze con la sposa. Secondo la
tradizione, il Principe Decio, che aveva potuto
per tanto tempo impunemente profanare la verginità di tante spose gallicchiesi, trovò un giorno la vendetta
di un giovane marito che lo uccise. Un tale Gennaro Diletto, allontanato
la sera delle nozze dal Principe con il pretesto di dover portare un
plico al signore di Stigliano, intuendo l'inganno, si appostò con un
fucile in un boschetto dirimpetto al Palazzo baronale. Non appena il Principe si
presentò soddisfatto e sazio sul loggiato che si trovava sulla cappella di
S.Sebastiano, dove era solito lavarsi e trattenersi dopo aver passato la notte
con la vittima, Gennaro prese la mira e fece partire un colpo che ferì gravemente il
Principe alla coscia. Trasportato con una portantina, nel castello
di Missanello, egli morì il giorno dopo di tetano.
Quindi, per chi ha
seguito la tradizione, Decio II è perito di morte violenta, scontando tutte le angherie
che avevo commesso in vita. Tuttavia, a parte il fatto che il racconto
della la vendetta di
Gennaro porebbe essere, come altre leggende simili tramandate in
tanti paesi dell'Italia meridionale, uno di quei topoi che
nascono dall' immaginario collettivo, in questo caso, per un senso di rivalsa di
chi ha subito impotente per secoli soprusi e umliazioni, non è
affatto comprovato che Decio II avesse spostato la sua residenza
a Gallicchio nel Palazzo
baronale, anche, e soprattutto, perchè nel 1591 egli ottenne solamente il titolo
di
Marchese di Missanello e non quello di Principe di Gallicchio, che come vedremo,
sarà concesso nel 1623 al nipote Don Giovanni Giacomo III..
In realtà, il titolo nobiliare di marchese
fu addirittura acquistato da Decio II che versò al sovrano spagnolo
Filippo II d'Aragona
una considerevole
somma di denaro , come attesta un documento composto di due fogli, rilegati verso la fine del XVII insieme a una raccolta di carte sotto il titolo di
"Privilegia della real chiesa di San Nicola". Il primo foglio scritto nel
recto e
nel verso, contiene una serie di spese con l'intestazione "Spese fatte per il
titolo di Marchese in persona del sig. Decio Coppola", il secondo
riporta nel recto, in alto a destra solo, la dicitura "Notamento di spese
facte in corte nel titolo Decio Coppola" Rosa Tadeo Lupoli (Notamento,
1984), che ha
rinvenuto e studiato il documento, ritiene che la sua estraneità rispetto alle
carte dello stesso fondo cartaceo si possa spiegare con il fatto che i due
fogli fossero serviti per sostenere un fascicolo interno del volume
presumibilmente rilegato a Napoli, dove riportano le origini della
famiglia Coppola e le lettere indirizzate ad alcuni priori della Basilica di
San Nicola temporaneamente nella capitale del Regno. Riportiamo integralmente il
testo del documento, così come è stato pubblicato da Rosa Tadeo Lupoli
(Notamento, 1984):
" Spese fatte
per il titolo di Marchese in persona del Sig. Decio Coppola
Dato a
sua Maesta ottomila ducati castigliani di undici reali l'uno quali
si liberorno ad Ambrosio Spinola per ordine di sua Maestà com' appare
nella prima partita della fede del Banco ch'invio con questa.
Oltre
di detta somma, dato per li deritti di Cancelleria nell' espetitione del
Privileggio, reali novecento quarantadue, per il che mi prestò da principio
Ettore Piccamiglio mille reali innanzi che trattassero il cambio di tutta la
somma com'appare nelle terza partita di detta, dico....reali 942
Dato a
Gio: Antonio d'Ancora per ordine del Conte di Cincione per
opra pia, et altro, reali duemila trecento cinquanta come appare nella partita
di detta dede, dico.... reali 2350
Dato
alli priori della Compagnia di Gesù reali mille seicento cinquanta pur per
conserto di Gio: Antonio d'Ancora, che tra l'uno e l'atro volse che
sborsassi quattro mila reali com' appare all' altra partita di detta fede,
dico.... reali 1650
Dato
conanti a una persona, alla quale io havea promesso duecento ducati perchè
aiutasse il negozio come veramente so che l'ha aiutato, et potea farlo nel suo
officio, cento ducati cio è reali Mille e cento, scusandomi se non li dava il
compimento, per averne Gio: Antonio d'Ancora fatto più aggiontione
di quel che me pensava, dico... reali 1100
Dato
per beveraggi a creati di minitri, a uno che portò la nova et ad altri che
vennero a cercarli, et a scrivani et officiali del scrittorio, in tutto reali
ducento venti.... reali 220
Dato al
Teniente del Corriero Maggiore cento reali, per che inviasse il privileggio
subbito col permesso estraordinario ... reali 100
Per
taffettà, et cassa di stagno per il privilegio undici reali.... reali 11
Soma in
tutto... reali 6373
Si che delli Reali 4450
che havea ricevuti per quest'effetto restano reali 1077, gli ritorno con questa
cedola di cambio qui inclusa."
Dopo la pacificazione
avvenuta tra la famiglia Coppola e il potere centrale e dopo la perdita del
prestigio e della ricchezza acquisita con l'attività mercantile,
Decio II tentò di rinverdire i fasti della sua
famiglia prodigandosi per diventare marchese. Proprio negli anni in cui ciò avveniva,
c'era stata una vera e propria escalation di titoli nobiliari, che era inversamente
proporzionale al loro valore politico effettivo: un conte di
epoca angioina era spesso molto di più in un duca o di un principe della seconda
metà del XVI o del secolo XVII . Durante i il Viceregno (1503-1707)
il governo spagnolo non permise alle case baronali di elevarsi troppo in
alto, come era avvenuto in passato
con i Sanseverino di Salerno, i Ruffo di Scilla, gli Orsini, i Di Capua della Riccia, gli Acquaviva di Atri e quelle, poi estintesi, dei Del Balzo e dei Caldor,
dividendo tra molte famiglie la potenza di poche. Inoltre
la crisi economica e sociale, aggravata dal mal governo,
dall'esosità fiscale, dalla crisi finanziaria generale, e da fattori vari come
le guerre , la peste ecc., fece aumentare la necessità per la corona
di ottenere danaro e quindi di vendere titoli, benefici.
Da un "Elenco dei feudatari del Regno di Napoli" della fine del XVI conservato nell'Archivio
delle Province Napoletana emerge che anche la situazione finanziaria delle
famiglie feudali non era affatto florida. I
feudatari maggiori erano fortemente indebitati e i minori avevano entrate
limitatissime spesso ne traevano a stento i mezzi di vita, tranne che non
esercitassero uffici o curassero personalmente le proprietà.
Dei 22 principi citati soltanto due erano titolari di notevoli entrate: il
principe di Bisignano con una rendita annua di 180.000 ducati e il
principe di Stigliano con 200.000, ma il primo aveva 1.700.00 ducati di debiti,
era interdetto e non aveva l'amministrazione dei suoi beni; il secondo era
debitore di 600.000 ducati. I duchi erano 21 e le loro entrate ammontavano a
545.000, con una media di 25.950 di rendita annua per ciascuno, mentre i
marchesi, che erano 25, avevano 360.050 ducati i renita annua, con una
media di 13.605 per ciascuno. Solo tre conti avevano entrate di una certa
importanza, la maggiorparte degli altri aveva rendite minime o erano addirittura poveri.
L'elenco dei feudatari,
che fu preparato dall' agente del Granduca
di Toscana a Napoli intorno
l'anno 1600, è particolarmente importante, perchè
uno dei 25 marchesi citati è Giovan Giacomo II Coppola, che
nel 1592 successe nel governo dei feudi di Missanello, Gallicchio e
Castiglione al padre Decio II, del
quale si dice:
"Giovan
Giacomo Coppola, Marchese di Missanello, fa in campo azzurro una
coppa d'oro sostenuta da due leoni d'oro. Non di molta
stima."
Purtroppo
la notizia è molto più sintetica delle note su altri feudatari di cui vengono specificate
le entrate, i gusti e le qualità morali
e qualche volta anche le tendenze politiche, per
esempio di Giambattista Caracciolo, Marchese di Brienza, si
legge: "Ha d'entrata ventunomila ducati aggravati di
debiti , che non gliene restano quattromila da spendere. E uomo
garbato, amico dello spendere se n'avesse. Desidera novità. Dà
recapiti ai fuorusciti e per tutti i segni non li piace il mondo
come va. Sta continuo allo stato e sfoga la sua terribilità alla
caccia".
Tuttavia, la tesimonianza
su Giovan Giacomo II
ci aiuta a chiarire definitivamente la questione relativa al
titolo nobiliare dei Coppola in quel periodo che era,
senza ombra di dubbio, quello di Marchese di Missanello e ci fa
presumere che il nostro feudatario avesse scarse
risorse economiche. Non a caso due anni dopo, nel
1602, egli sposò Donna Vittoria Di Sangro, figlia di Don
Fabrizio 1° Duca di Vietri e di Laura Caracciolo, che portò in
dote 25.000 ducati. Giovan Giacomo II non visse a lungo: morì o
nel 1608 , come riporta De Lellis, o più realisticamente
l' 8 giugno 1603, come si legge
nella
genealogia della famiglia Coppola del Libro d'Oro della
Nobiltà Mediterranea, sei mesi che
prima che nacesse il figlio Giovanni Giacomo III, che
forse proprio per la prematura morte del padre portò il suo stesso nome.