7. Dalla Baronia Lentini
alla nascita del Comune
Don Cesare Lentini, il barone che acquistò nel 1736 i feudi di Gallicchio, Missanello e Castiglione
e ne entrò in possesso nel 1738, proveniva
da una nobile e antica famiglia di origine siciliana, il
cui capostipite, il nobile cavaliere Lanfranco,
nell’anno 813 aveva difeso con grande energia la sua città,
Lentini (Leontinum), dalle invasione dei saraceni,
perciò fu nominato governatore della città e cominciò a portarne il nome Durante il periodo angioino, quando Giovanni
Lentini venne nominato da Carlo d'Angiò Vicerè d'Abbruzzo e
Governatore della Provincia di Puglia, si distaccò dal ramo
principale il ceppo pugliese di Monopoli da cui discendeva
Don Cesare, al quale, non sappiamo precisamente in che anno,
successe il nipote Francesco che governò i nostri feudi fino
al 1755, quando morì e fu tumulato nella chiesa
di San Zaccaria di Brienza in una cappella appartenuta alla
famiglia Lentini. Al lato dell'altare di pietra di detta Cappella, nella cui nicchia si osserva il busto di San
Gaetano, una lastra tombale indica la sepoltura di Cesare e
Francesco Lentini. Nelle incisione si legge: " BARO JACET
PRIMIS CAESAR LENTININUS IN URNA HANC Q^
PATERNOSTER CONFIERI ANTONIUS FECIT UTQUE NEPOS FRANCISCUS
EI SUCCESSUS III ISTO GAJETANUS ALMI PATRONUS JURE SACELLO
OBIIT DIE 25 SEPTEMBRIS- A.D. 1755" Purtroppo non
sappiamo chi ereditò i feudi alla morte di Don Francesco
Lentini, in quanto anche storici come Spetri (Enciclopedia, 1930) e Giustiniani (Dizionario Geografico, 1797-1805), che citano
la famiglia Lentini nelle loro opere, non fanno alcun
riferimento ai nomi dei baroni di Gallicchio e Missanello.
Lo stesso Sacco nel suo Dizionario del 1796 annota
soltanto: "Gallicchio, terra della provincia di Matera, in
Diocesi di Tricarico, situato in una quasi perfetta valle,
d'aria buona (...) si appartiene col titolo di Baronia alla
Famiglia dei Lentini". Può anche darsi che
avesse già preso possesso dei feudi Don Giuseppe Lentini,
che fu l'ultimo barone della famiglia Lentini e ultimo
feudatario di Gallicchio, Missanello e Castiglione, come
attestano due documenti che esamineremo più avanti,
anche se l'arco
temporale, che intercorse tra la morte di Francesco Lentini e l'anno in cui
vennero promulgate le leggi che sancivano la fine
della feudalità, è piuttosto ampio. Chiunque fosse il feudatario che
amministrava la terra di Gallicchio nel 1784, egli si trovò a
fronteggiare il malcontento della popolazione che mal
tollerava la sua l'ingerenza nel parlamento
comunale.
Il Regno di Napoli non fu estraneo al
rinnovamento culturale che nella seconda metà del secolo
XVIII investì tutta l' Europa. Intellettuali come,
Filangieri, Genovesi e Pagano, propugnarono un moto
riformatore finalizzato alla cosruzione di uno Stato di
diritto, non più oppresso dai privilegi feudali ed
ecclesiastici. Le idee progressiste arrivarono pian piano
anche in tutte le province del regno, veicolate dai
giovani che avevano fatto gli studi universitari a
Napoli. La limitazione del potere baronale, che in
Basilicata era ancora particolarmente incisivo nell'
amministrazione delle Università, e la distribuzione delle
terre demaniali erano tra
i principali obiettivi del programma di cambiamento Per
questo motivo in molti paesi della Basilicata, tra i quali
Gallicchio, ci furono frequenti invasioni delle terre
baronali e manifestazioni contro l'ingerenza del signore
feudale nella guida delle amministrazioni comunali. Più
tardi le idee libertarie che si diffusero con la
Rivoluzione Francese prepararono il terreno alle
rivolte popolari contrò il dispotismo di
Ferdinando IV
che portarono nel
1799 alla proclamazione della
Repubblica Napoletana.
Sull'esempio di altri
centri nella media Valle d'Agri che avevano istuito la
Municipalità repubblicane, nel gennaio del 1799 a
Gallicchio, che contava in quell'anno una popolazione
di 1014 abitanti, costituita prevalentemente da
contadini,
bracciali, artigiani, piccoli massari e pochi
professionisti,
venne
piantato in località "il Piazzile" l'Albero della libertà
quale simbolo di vittoria contro l'assolutismo del sovrano.
Promotori dell'iniziativa furono l'avvocato Don Nicola
Conte, il fratello Don Leonardo Conte e il medico don
Leonardo Robilotta. Quando a metà giugno la Repubblica
napoletana cadde, venne inviato a Gallicchio
l'Assessore Regio Angelo Fruscio che dopo aver svolto un'inchiesta, incluse
nel'elenco dei 1307 "rei di stato" della
Basilicata Nicola Conte, Leonardo Robilotta e il frate
agostiniano Fulgenzio Gaudiosi, i primi due per aver
piantato l'albero della libertà a Gallicchio, il terzo,
definito eretico (aveva negato la Potestà Pontificia e
il Sacramento della Penitenza), per aver organizzato nei paesi
limitrofi le Muncipalità. Gli altri repubblicani
gallicchiesi che parteciparono attivamente alla
piantagione dell'albero e alla brevissima vita della nuova
Municipalità furono il sacerdote Don Giuseppe Villone e Vito
Santo.
A Gallicchio nell' anno 1799 si
verificò anche da un evento calamitoso:
l'abitato del paese fu danneggiato gravemente da
una frana, come risulta dalla SCHEDA DI CENSIMENTO N.
70100530 del Sistema informativo delle catastrofi
idrogiologiche. Forse fu proprio questa frana, o le
abbondanti precipitazioni che la precedettero, a causare il
crollo della navata sinistra e del Cupolone, o
Cappellone, della chiesa di S.S. Maria Assunta. Per
ricostruire il Cappellone gli Amministratori comunali
gallicchiesi dovettero impegnarsi per circa 30 anni, dal 1827 al
1856, per ottenere autorizzazioni e finanziamenti e quando
finalmente i lavori di restauro si stavano concludendo
il terremoto del 1857 rase al suolo il
Cappellone , che non fu più
ricostruito.
Gli
ideali di libertà e uguaglianza che avevano ispirato la sfortunata esperienza del
1799 trassero nuova linfa dall'occupazione del Regno
di Napoli da parte di Giuseppe Bonaparte che il 16 febbraio
1806, detronizzato Ferdinando IV, entrò vincitore a
Napoli. Qualche mese dopo questo avvenimento, e precisamente
nel mese di agosto, si verificò nel territorio di Gallicchio
uno scontro cruento tra i soldati francesi,
considerati degli invasori, e alcuni gallicchiesi, in cui rimasero
uccisi Giuseppe Motta, Giuseppe Racioppi e Gennaro Pandolfo,
poi tumulati nella Cappella del Carmine. Nello
stesso mese di agosto del 1806 Giuseppe Bonaparte
volle assestare i primi colpi al sistema feudale con
una legge che aboliva la feudalità con
tutte le sue attribuzioni, conservando soltanto la nobiltà
ereditaria con i suoi titoli. Nel mese di settembre venne
pubblicata una seconda legge, con cui veniva prescritta la
ripartizione dei demani feudali ed ecclesiastici tra i
baroni e le Università, a cui venivano assegnati i terreni
più vicini all'abitato. L' applicazione di queste leggi
determinò a Gallicchio non solo la cessassione del potere feudale della
famiglia Lentini, ma anche un lungo contenzioso tra l'
Università e il Lentini, che viene detto nel 1811 per la prima volta "ex- barone"
proprio in un manoscritto
che raccoglie le sentenze di una Commissione feudali sulle
vertenze riguardanti: 1) le contrade " Difesa
d'Agri", "Valterrata", "Pantanello", "Cervone",
degli anni1812/13; 2) le prestazioni dei coloni a favore
dell' "ex barone" e le contrade "Cervone", "Bosco
Parrelli", "Difesa D'Agri", "Piano San Rocco",
degli anni
1812/1815; 3) le quote della contrada "Difesa d'Agri",
integrate dal Comune, del 1817. Nel 1819 Don Giuseppe
Lentini ottenne un risarcimento dal Comune di Gallicchio per alcuni terreni arbitrariamente
acquisiti Infatti nel decreto n. 1856 della
Collezione delle Leggi e de' Decreti Reali del Regno delle
Due Sicilie, da
luglio a tutto dicembre 1819, si legge :
"(N.° l856.)
Decreto che
approva una transazione, per
effelto della quale il comune dì
Gallicchio
restituisce all' ex-barone D. Giuseppe
Lentini i terreni che in
virtù di ordinanza del commessano ripartitore annullata
dalla gran Corte de' conti furono staccati dalla difesa
denominata Acri; e gli cede la difesa detta le
Chiane in compenso di duc. 1035.45 liquidati
a danno del suddetto comune pe' frutti percepiti e per
le spese della lite ( Napoli, 21 dicembre 1819)".
Da questo documento
emerge per la prima volta il nome di battesimo dell'
ultimo feudatario di Gallicchio, confermato anche da un
passo de
"La cronaca di Vincenzo Massilla sulle famiglie nobili di
Bari, scritta nell' anno MDLXVII", in cui si dice a
proposito della famiglia Attolini:
"Per quanto rilevasi dalla
numerazione dei fuochi fatta nell’ anno 1595, ed esistente
nell’ Archivio di Stato in S. Severino, questa famiglia
(Attolini, n.d.r) si
recò in Bari dall'antica e vicina terra di Ceglie nella
seconda metà del secolo XVI e vi fermò stabilmente la sua
dimora. Ne’ secoli seguenti addivenne molto ricca di beni di
fortuna , ed oltre a ciò s’illustrò con toghe dottorali e
con l’esercizio di uffizii di magistratura. Per queste
ragioni e forse anche in premio di qualche importante
servigio prestato alla patria, la cui notizia non è a noi
pervenuta, meritò nel 1789 di essere aggregata alla Piazza
dei Nobili, e per effetto di tale aggregazione venne poi nel
1805 ascritta al Registro delle Piazze Chiuse (…) Questa
famiglia ha contratto inoltre nobili parentele, fra le quali
van notate specialmente quella coll’ illustrissima casa
d'Avalos pel matrimonio contratto da Regina Attolini col
Duca Carlo d’Avalos dei Duchi di Celenza e Principi di
Torrebruna e l’ altra con la famiglia Lentini pel
matrimonio contratto da Stefano Attolini, uno dei
succennati ascritti al Registro delle Piazze Chiuse, con la
figliuola primogenita di Giuseppe Lentini, barone di
Gallicchio e Missanello, dalle quali nozze nacque
Giovanni padre del vivente Michele, che qual
rappresentante di detta famiglia Lentini ne ricorda tuttavia
i possessi feudali intitolandosi barone delle anzicennate
terre di Missanello e Gallicchio. Arma: Di azurro al leone
d’ oro rivoltato e sinistrato un’ acquila nera al volo
spigato"
|
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Stemma della
Famiglia Lentini |
Stemma della
famiglia Attolini riprodotto sulla porta
d'ingresso del Palazzo Baronale |
|
Alla luce di questa
testimonianza appare, per inciso, quantomeno fantasioso il
racconto che fa Don Stefano
Attolini, ultimo discendente della famiglia Attolini (Alcune
memorie di Gallicchio e dei Gallicchiesi), dell' acquisizione da parte
della sua famiglia dei feudi di Gallicchio e
di Missanello "Verso la fine del 700, tra i
paggi di Re (Ferdimando) vi era un D. Giuseppe
Mantusi, che s'innamorò d'una damigella della Regina
Maria Carolina, ed, avuto il consenso dei Baroni,
sposò questa tedesca D. Regina Laver e in
quest'occasione il Re fece dono a D. Giuseppe del
feudo di Sorlicchio e di Maranello (Gallicchio e
Missanello, n.d.r) D. Giuseppe ebbe tre figli, un
maschio Gaetano, che morì ventunenne ed è sepolto a
Napoli, nella chiesa di S. Maria degli Angioli, a
Pizzofalcone, e due femmine D. Maria Carolina e D.
Maria Teresa, così chiamate in omaggio alle due
Regine, Maria Carolina Giovane e Maria Teresa regina
Madre. D. Maria Carolina sposò il tribunale di
Mensa, Don Stefano avendo in dote i due feudi, con
l'annesso titolo, e D. Maria Teresa sposò il
Marchese Rosogiu. D. Stefano e D. Carolina
furono i genitori di D. Giovanni". Ora, anche
ammmettendo che Don Stefano avesse voluto celare il
nome di famiglia Lentini adoperando un cognome
di fantasia, come
aveva fatto in altri luoghi del suo manoscritto con
altre famiglie gallicchiesi (si legge per esempio Robatesa |
invece di Robertella, Molesano
invece di Montesano) è davvero inverosimile che i due
feudi di Gallicchio e
Missanello fossero stati donati a Giuseppe Lentini dal re
Ferdinando IV visto che noi sappiamo con certezza che
Don Cesare Lentini aveva acquistato i feudi in questione quasi cento
anni prima! L' avvento della famiglia
Attolini, i cui membri acquisirono il titolo ormai solo
onorifico di Barone, fu successiva al 1833 infatti nel
"Istorica descrizione del Regno di Napoli ultimamente diviso
in quindici provincie colla nuova mutazione di esse nello
stato presente" di Giuseppe Maria Alfano, stampata in
quell'anno, si legge a proposito del nostro paese: "Gallicchio
Terra in una valle, d’aria buona, Dioc. di Tricarico. 40
miglia da Matera distante. Il suo titolo di Baronia è di
Lentini. Produce grani, granidindia, frutti, vini,
ghiande e gelsi. Fa di pop. 1086"
Con le innovazioni del decennio francese
(1806-1815),
che avevano modificato la struttura amministrativa
del regno, le Province erano state divise in Distretti,
Circondari e Comuni. In quest'ultimi era satto il
Decurionato (l'antenato del Consiglio
Comunale), i cui membri, chiamati Decurioni, variavano
di numero in rapporto alla popolazione e venivano estratti a
sorte tra i possidenti, iscritti nelle liste degli
elegibbili, che avevano un età superiore a ventuno anni, un
imponibile annuo minimo di venti ducati e una buona condotta
morale, civile e politica. L' Università di Gallicchio, in
Provincia di Basilicata, che fino al 1811 era inserita nel
Circondario di Sant'Arcangelo, faceva parte del
Distretto di Matera. Nel 1810 la denominazione di Università
venne sostituita con quella di "la" Comune prima e di
"il"
Comune poi. Il primo sindaco della nuova istituzione
fu il notaio Vito Donnadio che rimase in carica dal 1807 al
31 dicembre 1809.
La prima metà dell'Ottocento ha lasciato molti documenti
riguardanti la nomina degli amministratori comunali che sono stati
analizzati prima da Rocco
Robertella in "Nuove luci lucane",
poi, in modo ancora più
approfondito, dal Prof. Mario Sanchirico in "
Gallicchio. Società e vita politico-amministrativa".
Gli stessi autori hanno trattato nelle loro opere
anche dei
moti carbonari e risorgimentali, di cui furono protagonisti
molti valorosi cittadini gallicchiesi, del
terremoto del 1857 e di tanti altri rilevanti avvenimenti
del XIX secolo. Ci è sembrato, quindi, superflo estendere la
nostra ricerca a periodi storici già così mirabilmente
indagati. Un' analisi più approfondita meriterrebbero, in
verità, le vicende storiche di
Gallicchio nel XX secolo, ma per ora
preferiamo concludere questo nostro breve contributo alla
storia del nostro piccolo paese,
riservandoci di ritornare sull' argomento in futuro.