5. Il Principe Don Giovan
Giacomo Coppola
Giovan Giacomo III Coppola,
che restò sotto la tutela della madre fino a quando questa si
risposò nel 1609 con Bernabò Caracciolo Duca di Sicignano,
covolò a nozze
all'età di 17 anni, il 4 febbrario del 1620, con Donna Crisostoma
Caracciolo, figlia di Don Antonio Signore di Agropoli, dei
Principi di Avellino, e di Donna Giulia di Lannoy, 3a
Duchessa di Boiano.
I Caracciolo, divisi nei tre rami dei
Caracciolo del Sole,
Caracciolo Rossi e Caracciolo
Pisquizi, erano il raggrupppamento familiare più potente del
seggio di Capuana. Nel 1605 in occasione dei festeggiamenti per
la proclamazione di San Tommaso d'Aquino ottavo patrono di
Napoli, (i precedenti sette erano Gennaro, Atanasio, Aspreno,
Agrippino, Severo, Eufebio e Agnello), essi contribuirono alla
celebrazioni con 331
ducati
ammontanti al 41,9% dell'intera contribuzione del Seggio di
Capuana. Il marchese di Missanello contribuì per 20 ducati
insieme ad altri 19 feudari tra cui anche il Marchese di
Corleto, di casa Costanzo.
I Duchi De Lannoy, invece, discendevano da Carlo de Lannoy, celebre
generale imperiale, membro del Consiglio privato dell’Imperatore
Carlo V (di cui fu anche amico e favorito) dal 1515, Governatore
di Tournai nel 1521, Vicerè di Napoli 1522/1524, creato Conte
d’Asti il 10-2-1526, 1° Principe di Sulmona e Ortonamare dal
20-2-1526, ambasciatore in Francia. Sposò Françoise de Mombel,
che vendette la contea di Asti all’Imperatore Carlo V nel 1532
in cambio di Nola, ma lasciò anche questo feudo per ottenere in
cambio il ducato di Boiano, la contea di Venafro e la baronia di
Prata e Campochiaro.
Il 30 gennaio del 1623 Giovan
Giacomo III, 3° Marchese di
Missanello e Signore di Castiglione,
ottenne il
titolo di Principe di Gallicchio. É presumibile che
intorno agli anni venti del XVI sec., egli facesse iniziare
i lavori di costruzione del Palazzo baronale per
spostare la residenza da Missanello a Gallicchio. Sappiamo,
infatti, che nel 1622
donò una parte del castello
di Missanello a 12 frati dell’Ordine dei Minori Osservanti,
detti Zoccolanti, che vivevano di elemosina e che il terzo
dei 9 figli avuti da donna Crisostoma Caracciolo,
Don Antonio (futuro
2° pricipe di
Gallicchio) nacque
proprio a
Gallicchio l'8 giugno del 1627. Gli altri
rampolli di casa Coppola gallicchiesi di nascita furono:
Donna Giulia (monaca nel monastero di Santa Maria Donna Albina a
Napoli dal 1652), nata il 9-2-1636, Donna Maria Beatrice
(monaca nel monastero di Santa Maria Donna Albina a Napoli dal
1653), nata il 14-5-1637, Don Andrea ( futuro 3°
principe di Gallicchio, nato il 13-3-1640). Il primogenito
Don Fabrizio, che morì a pochi mesi di età, la seconda genita
Donna Vittoria Antonia (monaca “suor Angela
Maria” nel monastero della Sapienza a Napoli dal 1640) e il
quartogenito Don Carlo (Chierico Regolare Teatino che fu
eletto
Generale del suo
ordine nel 1692)
nacquero a Napoli rispettivamente nel 1621, 1624 e nel
1630 . Degli altri due figli,
Don Francesco (Chierico Regolare Teatino)
e Don Giovanni
Battista (Chierico Regolare Teatino), quinto e sesto nato,
non si conoscono il luogo e l'anno di nascita.
Sull'ingresso
voltato del Palazzo, a cui si accede attraverso un'area
cortilizia, Giovan Giacomo III , per rappresentare il blasone
della sua famigla, fece dipingere uno stemma inquartato,
composto dall' arma della famiglia Coppola
e di quella dei nobili titolati con cui i Coppola si erano imparentati
a seguito dei prestigiosi matrimoni dei due Giovan Giacomo,
padre e figlio, con Vittoria Di Sangro e Donna Crisostoma
Caracciolo. Nello scudo ci sembra, infatti, di poter
riconoscere: 1) al canton destro del capo l'arma dei Coppola,
d'azzurro alla coppa d'oro sostenuta da due leoni d'oro; 2)
al canton sinistro del capo lo stemma dei Caracciolo
Rossi, Principi d'Avellino, bandato d' oro e di rosso col capo
d'azzurro; 3) al canton destro della punta l'arma dei Di
Sangro, duchi di Vietri; 4) al canton sinistro della punta l'
arma dei De Lannoy, duchi di Boiano.
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In verità , l'arma di Fabrizio Di Sangro, nonno
materno di Giovan Giacomo III era costituita , come si legge
nel citato Elenco dei feudatari della fine del XVI
da "
tre
bande d'oro in campo azzurro", e non da tre
bande d'oro in campo rosso come rappresentata nel
punto 3 dello stemma del Palazzo
Baronale (riprodotto qui a fianco),
mentre lo scudo dei duchi De Lannoy era sì
caricato di tre leoni rampanti di verde,
linguati di rosso e coronati,
però in campo d'argento e non in campo azzurro
chiaro. (Nella ricostruzione sottostante si pùo
vedere come dovrenne essere lo stemma. in base
ai colori propri delle armi).
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Non vorremmo sbilanciarci
nell'affermare che siano stati commessi degli errori durante
i recenti lavori di restauro dello stemma affrescato sulla volta
dell'ingesso del Palazzo baronale, ma è quantomeno singolare
che le bande dell'arma del canton destro della punta abbiano il medesimo colore di quelle del canton sinistro del
capo, anche perchè non ci risulta che esistesse una
famiglia nobile con un blasone uguale a quello rappresentato sotto l'arma dei Coppola.
Ritornando
alla questione riguardante l' epoca di costruzione del Palazzo
baronale, la nostra ipotesi che l'edificio non fosse stato
eretto durante il governo di Decio II, nella seconda metà del
cinquecento, ma durante quello di Giovan Giacomo III, cioè dopo il 1620,
trova la conferma decisiva
in un importantissimo
documento intotolato "Apprezzo delle terre di Gallicchio
e Missanello nella provincia di Basilicata", compilato nel 1642
dal tavolario Salvatore Pinto su incarico del
Sacro Regio Consiglio di
Napoli, nel quale si legge:
"
Se ritrova poi l'habitatione del Padrone fatta novamente
(da poco, nd.r.)
ne è ancor finita la quale è nel mezzo di essa Terra
(di Gallicchio, n.d.r.)".
Il testo,
manoscritto, è stato rinvenuto nell' Archivio di Stato di Napoli
dalla Dott.ssa Lucia Caradonna alla ricerca di
notizie storiche sul Palazzo Baronale di Gallicchio, oggetto
della sua tesi di Laurea in Archittettura.
Il
tavolario
Salvatore Pinto era un tecnico nel regno di Napoli
incaricato, come altri sui colleghi un pò
ingegneri , un pò architetti, di redigere mappe accurate del
terrritorio con le indicazioni delle strade, dei palazzi e dei
proprietari. Accadeva spesso che essi eseguissero per il
Sacro Regio Consiglio, supremo tribunale del Regno, la stima
dei beni di quei feudatari che su istanza dei creditori erano
messi all' asta per far soddisfare, col prezzo della ventita, i
debiti contratti e non pagati. I cosiddetti "apprezzi", che
erano vere e proprie relazioni tecniche ricche di descrizioni
dettagliate e di piante, contenevano elementi molto utili
circa la topografia dei paesi, gli ordinamenti comunali,
gli edifici, la popolazione, le industrie ecc. Queste relazioni sono,
quindi, delle fonti importantissime per fotografare la
condizione in un momento della loro storia di piccole realtà locali su cui scarseggiano i
documenti archivistici.
L' "Apprezzo delle terre di Gallcchio e Missanello"
contiene preziosissime notizie sulla conformazione
dell'abitato di Gallicchio, sul suo contado, sulla
composizione e sulle caratteristiche della sua popolazione
ecc., per questo ne abbiamo pubblicato degli estratti
in appendice a questo lavoro su gentile concessione
dell'Arch. Caradonna.
L'
esistenza di un tale documento ci dà, comunque, la
certezza che i problemi economici dei Principi Coppola, che
li porteranno, come vedremo alla perdita dei tre feudi di
Gallicchio, Missanello e Castiglione, erano
cominciati molto tempo prima del 1656 anno in cui, come
vederemo, la terribile epidemia di peste li costrinse a
contrarre un grosso debito con una famiglia locale.
Nonostante la cattiva
amministrazione delle sue rendite, Don Giovan Giacomo III
fu, secondo la tradizione, un
principe devoto e munifico che trattò la popolazione delle
sue terre con umamità e onestà. Oltre a fondare a Missanello
a proprie spese il convento dei frati francescani , che come
visto, venne insediato nel Castello di famiglia, sempre a
Missanello, in occasione della traslazione del corpo di San
Senatro nella cappella del convento e della sua esposizione
in pubblico decretata dal Vescovo di Tricarico, Pietro Luigi
Carafa, egli fece scolpire una statua lignea
raffigurante il Santo, custodita in una teca di cristallo
insieme a una reliquia dello stesso santo. Riguardo,
invece, ai lavori di abbellimeno e restauro della Cappella
del Carmine che Don Giovan Giacomo III avrebbe fatto
eseguire a Gallicchio, occorre fare alcune
precisazioni rispetto a quanto affermato in "Nuove luci luane"
dei fratelli Robertella.
L'epigrafe scolpita sul frontone
del portale della detta cappella:
"FORMOSA ES, FAEOR, FORMOSA
ET DIGNA ROGARI. HUNC, TU DIVA,TUO, PROTECTUM, NUMINE SANCTO
CONSERVA POPULUMQUE SIMUL QUI SACRA SECUTUS PRINCIPIS
EXEMPLUM PURO TUA CORDE FREQUENTAT. ANNO DOMINI 1610"
è
stata tradotta da Padre Tito Robertella nel
seguente modo:
"BELLA TU SEI, LO CONFESSO, SEI BELLA E
DEGNA DI ESSERE INVOCATA. TU ,O DIVA, COL TUO POTENTE AIUTO
CONSERVA COSTUI, CHE TU HAI PROTETTO, E CONSERVA NEL
CONTEMPO IL POPOLO, IL QUALE, SEGUENDO L’ESEMPIO DEL
PRINCIPE, FREQUENTI, CON PURO CUORE, CIÒ CHE TI È CARO.ANNO
DEL SIGNORE 1610 ".
La traduzione e l'interpretazione di
questo testo è, però, fondata sull'errata convinzione
che il signore che governava Gallicchio nel 1610
avesse già acquisito il titolo nobiliare di Principe e che
fosse figlio di Decio II Coppola. Infatti, a commento
dell'epigrafe, in "Nuove luci Lucane" si legge: "
(..) ci limitiamo a rilevare dal contenuto dell'epigrafe
qualcosa di allusivo, come vedremo, al Principe del
tempo, che era appunto D. Giacomo Coppola, il quale vi
appare come il fortunato devoto additato a tutta la
popolazione gallicchiese come modello da imitare nella
pratica della devozione mariana. Ma cosa aveva fatto, in
particolare, il Principe D. Giacomo Coppola per essere
considerato un modello di pietà mariana? L'epigrafe è
vero, non fa alcun accenno alla fondazione della Cappella o
ad altri lavori, ma certamente lo insinua e lo fa supporre
(...) L'accenno, invece, a una particolare protezione(...) sembra
fare sottintendere qualche cosa che abbia relazione col
famoso episodio dello Jus primae noctis (...)
É facile (...) che il fatto abbia relazione con quel
terribile episodio e colla sua successione indenne, nella
carica di Principe, dopo la tragica morte del padre".
Noi,
invece, non solo sappiamo che
Giovan Giacomo III nel 1610 non era ancora principe, ma
anche che egli, successo al padre Giovan Giacomo
II, aveva il quell'anno soltanto sette anni. Ci chiediamo, a questo
proposito, se un bambino di
sette anni potesse essere
"additato a tutta
la popolazione gallicchiese come modello da imitare nella
pratica della devozione mariana", o se
avesse potuto ordinare di sua iniziativa il supposto
restauro e abbellimento della Cappella, o, addirittura,
importare a Gallicchio da Napoli, come sostengono i
fratelli Robertella, la devozione alla Madonna del
Carmine. É vero che Giovan Giacomo II morì
prematuramente nel giugno 1603, all'età di circa venti anni (Decio II e Giulia Venato
si erano sposati nel 1580 e
quindi egli nacque sicuramente dopo questa data) e che
Giovan Giacomo III potrebbe essere scampato ad un pericolo
che aveva potuto coinvolgere anche la madre che lo
portava in grembo, essendo egli nato nel dicembre del 1603,
sei mesi dopo la morte del padre,
ci sembra, tuttavia, che la traduzione dell' epigrafe di
Padre Tito Robertella sia troppo influenzata dalla sua lacunosa
ricostruzione delle vicende storiche della famiglia Coppola.
Infatti il Prof. Rocco
Sinisgalli, docente della facoltà di Architettura
dell' Università "La Sapienza" di Roma, dà una versione
molto diversa dell'iscrizione, e cioè: "
SEI
BELLA , LO PROCLAMO , O BELLA E DEGNA DI ESSERE INVOCATA.
TU, DIVINA, MEDIANTE LA TUA SACRA MAESTÀ CUSTODISCI QUESTA
CORNICE E INSIEME IL POPOLO, IL QUALE SEGUENDO L'ESEMPIO DEL
MAESTRO, CELEBRA CON CUORE PURO I TUOI SACRI CULTI. ANNO DEL
SIGNORE 1610"
L'epigrafe,in
effetti, si può leggere sulla sommità di un
grosso portale di pietra di circa 2 m di larghezza per 3
metri
di altezza che incornicia
|
l' ingresso principale
della Capella, sul quale sono scolpiti anche, al di
sopra dell'iscrizione, la Madonna del Camine con in braccio
il bambino, lo stemma della famiglia Coppola
e il gallo simbolo di Gallicchio.
Ci sembra, dunque, probabile che nel 1610
fosse stata commissionata da Giovan Giacomo III, o
più precisamente da chi per lui amministava i
suoi feudi, solo la realizzazione di questo
portale in pietra; degli altri ipotizzati lavori di
restauro non è stato per ora possibile
trovare tracce concrete, né nella cappella nè nei
documenti archivistici. |
Qualche
hanno dopo la messa in opera del portale, nel 1618 ,
Gallicchio e Missanello furono meta di una delle poche
missioni che i Gesuiti svolsero in terra di Basilicata.
I Gesuiti
cercavano nel loro lavoro
missionario di istruire e
condurre alla
pratica della vita cristiana favorire
conversioni e pacificazioni, organizzavano processioni
penitenziali, confessioni
e comunioni generali;
promuovevano la
fondazione di congregazioni
dedicate alla Vergine, che
avevano lo scopo di
rafforzare in “loco” i frutti
delle missioni attraverso
un’intensa devozione mariana.. Può darsi che di una
confraternita di questo tipo facesse parte quel Iacopo
Montagna che per sua devozione nel 1619
fece abbellire proprio
l'interno
della cappella del
Carmine con un affresco
raffigurante la Madonna del Carmine con il bambino
tra una corona di nuvole sopra un città turrita in
fiamme, attualmente conservato nella chiesa di San
Giuseppe (cfr.
Cappella del Carmine). |
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Sappiamo con certezza che
anche Giovan Giacomo III,
che fu anche Cavaliere dell’
Ordine di San Jago, fece
parte della confraternità
detta della
S.S. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, fondata a
Napoli nel 1579, della quale fu a capo dal 1629/1630. In
quest'ultimo anno i tre feudi del Principe furono funestati dalla peste, soprattutto Missanello in cui
si verificò il maggior numero di morti, dai 250 a 300,
facendo un raffronto tra il censimento foiatico del 1595 e
del 1648. Fu, forse, proprio a
causa di questa peste e della successiva carestia che
cominciarono i problemi economici del Principe Giovan
Giacomo III, anche se non si può escludere che egli
avesse già contratto dei debiti
per la costruzione del Palazzo baronale o per
l'acquisto del titolo nobiliare. Purtroppo non
sappiamo a quanto ammontassero le sue entrate, nè tantomeno
che entità avessero le sue uscite. L'unica rilevante spesa
di cui abbiamo potuto trovare notizia è la dote di 3000
ducati pagata per la figlia Vittoria che nel
1640 entrò nel monastero della Sapienza di Napoli per
farsi suora come imponevano le regole feudali dell'epoca.
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