IL "GALLICCHIESE"

IN... BASILICATA

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

I dialetti della Basilicata

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Nota sull’uso dei segni diacritici.

Per non disorientare il lettore, ho voluto utilizzare gli stessi segni diacritici impiegati per il dizionario nella trascrizione degli esempi in dialetto,  anche se la tecnicità dell’argomento avrebbe richiesto l’uso di alcuni segni più specifici dell’alfabeto fonetico internazionale come per esempio la k per la c velare, la j per i semivocale, ts per z affricata dentale sorda ecc..


 

Introduzione

 

 

I dialetti italiani

 

La penisola italiana ha un’entità geografica ben netta a cui corrisponde un’unità linguistica, rappresentata dalla lingua italiana accanto alla quale, però,  convivono centinaia di lingue locali parlate. I dialetti italiani, non derivano in alcun modo dall’italiano standard e non rappresentano adattamenti locali o corruzioni della lingua nazionale, ma sono a tutti gli effetti idiomi indipendenti, direttamente evolutisi dal latino e dotati di fonetica, grammatica e lessico autonomi. Sarebbe per questo motivo più appropriato parlare di “dialetti romanzi”, in parallelo con le lingue romanze. La varietà dialettale italiana, in particolare, è la più alta all’interno delle lingue romanze: ogni minima comunità, frazione di comune o, addirittura, gruppo di case presenta una propria parlata, che differisce da quelle vicine anche per poche caratteristiche.  Le ragioni di questa enorme differenziazione sono storiche e sociali.

Una prima ragione sta nel fatto che quando con l’impero romano si impose l’uso del latino, questo si mescolò alle lingue allora parlate – ad esempio le lingue italiche – e prese caratteri diversi a seconda dei luoghi e delle lingue con cui veniva a contatto. Il latino parlato, dunque, non era unitario in partenza: solo l’azione della scuola e dell’amministrazione dell’impero fece sì che, accanto ai dialetti latini effettivamente parlati, esistesse una lingua comune per la comunicazione fuori della propria area e per gli usi letterari e burocratici. Il crollo dell’impero e le invasioni barbariche spezzarono questa unità; inoltre furono introdotte nuove lingue (gotico, longobardo, greco, arabo) che si mescolarono con quelle esistenti, in modi e proporzioni diverse secondo i luoghi. Il latino sopravvisse, ma come lingua lontana dalla vita quotidiana, usata solo negli ambienti colti e parlata da pochi eletti: ogni varietà locale, liberata dal peso della tradizione, ebbe un’evoluzione autonoma e assai rapida, portando a una capillare differenziazione. Anche dopo l’emergere del fiorentino come varietà prestigiosa e dotata di potere unificante– anche se soltanto sul piano letterario – il persistere della mancanza di un’unità nazionale favorì la frammentazione locale delle parlate, almeno per l’uso quotidiano. Secoli dopo, ad esempio, Alessandro Manzoni non usava comunicare in italiano: a casa e in città parlava il milanese; fuori Milano, il francese; e così era per la gran parte della popolazione milanese alfabetizzata. Solo l’unità d’Italia (1861), con la scuola e i giornali, e soprattutto il XX secolo con la radio e la televisione portarono elementi effettivi di unificazione linguistica.

 

Pur nella loro varietà, i dialetti italiani si possono distinguere in tre grandi gruppi:

 

  • i dialetti alto italiani o settentrionali;

  • i dialetti toscani;

  • i dialetti centromeridionali;

 

I dialetti settentrionali si estendono a sud dell’arco alpino fino al crinale appenninico che corre lungo una linea immaginaria che unisce La Spezia a Senigallia. Comprendono il ligure, il piemontese, il lombardo e l’emiliano; il veneto costituisce, all’interno del gruppo, una variante con alcune caratteristiche fonetiche distinte. Tutti questi dialetti sono ulteriormente differenziabili al loro interno in decine di ulteriori distinzioni. Tutti i dialetti italiani settentrionali, nella classificazione delle lingue romanze, appartengono alle lingue romanze occidentali e sono per questo motivo chiamati anche dialetti gallo-italici. Nella loro struttura fonetica e morfologica è possibile riscontrare ancora tracce degli idiomi parlati in epoca preromana, soprattutto delle lingue di ceppo celtico; col decadere della supremazia politica e culturale del latino, queste aree hanno maggiormente subito l’influsso delle lingue d’oltralpe, del francese e del provenzale in particolare.  Tra i fenomeni fonetici più importanti (cfr. Elementi di fonologia e fonetica), al di là della grande differenziazione delle parlate locali, si possono citare la caduta delle consonanti doppie latine (il veneto cavalo corrisponde all’italiano “cavallo”, entrambi derivati dal latino tardo caballum), il fatto che le consonanti sorde diventano sonore fra vocali o cadono (urtiga o urtía in lombardo, dal latino urtica), la presenza del suono ü da u latina (lüna, piemontese, da luna latino).

Nell’area settentrionale descritta sono presenti altre espressioni che sono di fatto considerate lingue romanze, e non dialetti: sono, partendo dall’arco alpino occidentale, il provenzale, parlato nelle valli piemontesi delle Alpi Marittime e Cozie; il francoprovenzale, in Val d’Aosta; il ladino, parlato nelle valli fra Trentino, Alto-Adige e Cadore; e il friulano, considerato una variante orientale del gruppo delle lingue ladine.

 

Il toscano, a sua volta distinguibile in varietà differenti di dialetti locali, è fra i dialetti italiani quello che subì meno cambiamenti e si mantenne più simile al latino; grazie al prestigio letterario della sua variante fiorentina, le sue caratteristiche sia fonetiche sia grammaticali diventarono in parte quelle della lingua italiana. Tra le peculiarità prettamente locali del toscano vi sono la cosiddetta gorgia, ovvero la pronuncia aspirata della /c/ velare  e la costruzione impersonale del verbo alla prima persona plurale (“noi si esce”).

 

I dialetti centromeridionali formano, sia per estensione geografica che per numeri di parlanti il maggior nucleo dell’Italia dialettale. Essi possono essere divisi in tre grandi sezioni:

 

a) sezione marchigiano-umbro-romanesca;

b) sezione abruzzese, molisano, campano, pugliese settentrionale, lucano, calabrese settentrionale;

c) sezione salentina, calabrese centro-meridionale, siciliano.

 

Tutti questi dialetti, pur nella loro multiforme varietà presentano caretteristiche comuni, alcune delle quali possono essere attribuite al sostrato italico come le riduzione dei nessi consonanti  nda> nna , mb> mm (ad esempio, abruzzese munno, latino mundo). Un altro tratto caratteristico di una vastissima zona centro-meridionale è il passaggio del gruppo latino pl a chi- (come in napoletano chiú, latino plus, italiano standard “più”). e la presenza – in alcune varietà – dei cosiddetti suoni retroflessi, ossia pronunciati con la punta della lingua rivolta all’indietro, in particolare dd per ll (siciliano bèddu, latino bellus, italiano standard “bello”)

Fra le particolarità della sezione sezione abruzzese, molisano, campano, pugliese settentrionale, lucano, calabrese settentrionale vi è il dileguo delle vocali finali nell’indistinta /ë/.  Un carattere importantissimo dei dialetti centro-meridionali è la diffusione della metafonesi, ossia l’alterazione fonetica della vocale accentata, che si presenta sotto due principali tipi. L’ uno, che si può definire “napoletano” chiude le vocali  /é/ (<  ē, ĭ latine) e /ó/  (< ō, ŭ latine) in  /i/ e /u/   quando le vocali finali atone finale siano state –ĭ ed –ŭ. Nelle stesse condizioni  le vocal toniche è (<ĕ)  e ò (< ŏ) danno luogo a dittonghi vari.  L’alro tipo di metafonesi detto “ciociaresco o arpinate, mentre concorda  con il tipo napoletano per il trattamento delle vocali chiuse, se ne differenzia in quanto non riduce le vocali aperte /è/ e /ò/ a  dittonghi ma alle vocali chiuse /é/ e /ó/. Fenomeno originariamente solo fonetico, specialmente dopo la caduta  o la riduzione delle vocali finali, la metafonesi ha assunto un valore morfologico nella differenziazione  del singolare dal plurale o  del femminile dal maschile.

 

Le varietà dei dialetti lucani hanno i caratteri distintivi tipici  altre lingue centro-meridionali, ma si differenziano per alcune particolarità che li pongono in una posizione di grande rilievo nell’insieme delle parlate romanze che si stendono dall’ Atlantico al mar Nero e dal canale della Manica alla sicilia.


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