UN PAESE DA SCOPRIRE

MEMORIE

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

 

La mietitura

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LA CASA CONTADINA  IL DERBY NGAP' A TÉRRĖ- MBÉD' A TČRRĖ  LA FERRATURA DEGLI ASINI  I GIOCHI DEL PASSATO

 IL MATRIMONIO NEGLI ANNI '50  LA MIETITURA LA TREBBIATURA

 

       

La mietitura manuale era il  momento culminante del lavoro contadino, avendo una grande importanza nelle civiltą cerealicole di tipo tradizionale, non ancora toccate dalla meccanizzazione e caratterizzate dall’uso dell’aratro tradizionale e della falce. Se da una parte la mietitura era la conclusione di un intero e sofferto ciclo vitale, con la gratificazione, spesso soddisfacente ma a volte assai deludente, degli sforzi dei mesi precedenti, dall’altra rappresentava il momento del passaggio all’ incerta attesa dell’inizio di un nuovo ciclo, carico di preoccupazioni e di incertezze. In un’economia in cui il lavoro era legato all’esclusiva e impotente dipendenza dall’andamento delle stagioni, dalle calamitą naturali, dalle malattie delle piante, l’esistenza era un continuo oscillare tra realtą e speranza.

La mietitura era un periodo di grande occupazione per il contadino, non solo per la raccolta del suo grano,  nella maggior parte dei casi quantitativamente molto modesta, ma perché una numerosa manodopera salariata veniva ingaggiata dai grandi proprietari. Apparentemente semplice, la mietitura richiedeva grande specializzazione e notevole conoscenza tecnica dell’uso della falce. Precisi canoni regolavano i movimenti e i rapidi gesti dei mietitori, soggetti a ritmi massacranti, scanditi dal sole. Era un lavoro durissimo il caldo, la posizione costantemente curva della schiena, l’assenza di ripari ecc...

A Gallicchio, dove la mietitura cominciava  della prima settimana di luglio, venivano solitamente impiegati dei mietitori locali al contrario delle vicine zone di pianura dove venivano assoldate squadre di lavoranti provenienti dalla Puglia, e precisamente da Lecce e provincia, famosi per la loro forza e abilitą.

Il corredo dei mietitori era costituito, oltre che dalla falce, da una specie di grembiule di cuoio leggero per proteggere il corpo (u pėttėrąlė)da un bracciale di cuoio per evitare la tendinite al polso (detta "u pėcciłnė")  e da tre pezzi di canna sagomati come grossi ditali che venivano infilati per protezione,   nel dito medio,  nell’anulare e nel mignolo della mano sinistra (i cannģellė),  tutti legati con un filo fermato con un nodo al polso.

Le spighe erano tagliate ad una altezza 30/40, perchč le stoppie si lasciavano sul campo per poi essere bruciate.

Ogni squadra di falciatori  (a parąnżė era formata da cinque persone,  quattro delle quali erano mietitori ed una  un legatore, « lėgąndė ».I mietitori avanzavano ad una distnza di ca. 1 m uno dall’altro, occupando ciascuno una fascia di terreno  larga ca. 3 m , seguendo nel campo una linea obliqua (questa operazione era detta  « purtą l'ąndė »). Il legatore che li seguiva aveva il compito, muovendosi da una estremitą  all’altra della squadra, di raccogliere i mannelli (i šģermėtė), tagliati e lasciati per terra,  e di sistemarli legandoli in covoni (i grégnė). La legatura veniva eseguita con lo stesso grano: il legatore sceglieva due mazzi di spighe che intrecciava ottenendo una sorta di legaccio  con cui avvolgeva il covone. Anche questo lavoro era faticoso e richiedeva capacitą di concentrazione  e precisione, per evitare che il covone si sciogliesse. Non solo: il legatore doveva essere veloce, in modo da dare il ritmo ai mietitori,  per questo era spesso lo stesso proprietario o il conduttore del terreno a farlo. 

I covoni venivano sistemati sul campo uno davanti all'atro in  file (vusģellė) di 10-12  con le spighe rivolte verso l'alto, per facilitare lo scivolamento dell'acqua  in caso di pioggia,  in attesa  di essetre trasportati con le tregge  (i trągliė) sull'aia per la trebbiatura. Terminata la mietitura,   si procedeva alla spigolatura, attivitą praticata generalmente dalle donne, che raccoglievano le spighe cadute tra le stoppie, mettendole nel  grembiule legato in vita.

I  lavorati giornalieri, in genere, percepivano dal datore di lavoro  una paga in denaro per ogni giorno, che era diversa se « alla scarsa », cioč senza che il datore di lavoro desse loro da mangiare, o « con le spese ».  Durante la mietitura vigeva l'uso « di fare sempre le spese ». I mietitori mangiavano quattro volte al giorno: al mattino, appena alzati, si faceva la prima colazione detta « ruppėdėsciłnė » , verso le  dieci si faceva  una seconda colazione detta « féllė »,  verso le 14,30  si mangiava  un'altra volta, si faceva  «a murénė », la sera si consumava  il tradizionale pasto nella masseria  o nella casa  del datore di lavoro. Il vero pasto, a base di piatti caldi, era solo quello  della sera. Negli altri pasti venivano consumati pane, cipolla, uova, formaggio, sarde  frittate, peperoni ripieni ecc. Durante i pasti veniva servito anche il vino, mentre l'acqua  era porta ai mietitori durante il lavoro con l'orciuolo (u vłmmėlė) , ogni volta che era richiesta.