La mietitura manuale
era il momento culminante del lavoro contadino, avendo una
grande importanza nelle civiltą cerealicole di tipo tradizionale,
non ancora toccate dalla meccanizzazione e caratterizzate dalluso
dellaratro tradizionale e della falce.
Se da una parte la mietitura era la conclusione di un intero e
sofferto ciclo vitale, con la gratificazione, spesso soddisfacente
ma a volte assai deludente, degli sforzi dei mesi precedenti,
dallaltra rappresentava il momento del passaggio all incerta attesa dellinizio di un nuovo ciclo, carico di
preoccupazioni e di incertezze.
In uneconomia in cui il lavoro era legato allesclusiva e impotente
dipendenza dallandamento delle stagioni, dalle calamitą naturali,
dalle malattie delle piante, lesistenza era un continuo oscillare
tra realtą e speranza.
La mietitura era un periodo di grande occupazione per il contadino,
non solo per la raccolta del suo grano, nella maggior parte dei
casi quantitativamente molto modesta, ma perché una numerosa
manodopera salariata veniva ingaggiata dai grandi proprietari.
Apparentemente semplice, la mietitura richiedeva grande
specializzazione e notevole conoscenza tecnica delluso della falce.
Precisi canoni regolavano i movimenti e i rapidi gesti dei
mietitori, soggetti a ritmi massacranti, scanditi dal sole. Era un
lavoro durissimo il caldo, la posizione costantemente curva della
schiena, lassenza di ripari ecc...
A
Gallicchio, dove la mietitura cominciava della prima settimana
di luglio, venivano solitamente impiegati dei mietitori locali al
contrario delle vicine zone di pianura dove
venivano assoldate squadre di lavoranti provenienti dalla Puglia, e precisamente da Lecce e provincia, famosi per la loro
forza e abilitą.
Il corredo dei mietitori era costituito, oltre che dalla falce, da
una specie di grembiule di cuoio leggero per proteggere il corpo (u
pėttėrąlė)da
un bracciale di cuoio per evitare la
tendinite al polso
(detta
"u pėcciłnė")
e da tre pezzi di canna sagomati come grossi ditali che venivano
infilati per protezione, nel dito medio, nellanulare e nel mignolo
della mano sinistra (i cannģellė),
tutti legati con un filo fermato con un nodo al polso.
Le spighe erano tagliate ad una altezza 30/40, perchč le stoppie si
lasciavano sul campo per poi essere bruciate.
Ogni squadra di
falciatori (a parąnżė)
era formata da cinque persone, quattro delle quali erano
mietitori ed una un legatore,
« lėgąndė ».I mietitori
avanzavano ad una distnza di ca. 1 m uno dallaltro, occupando
ciascuno una fascia di terreno larga ca. 3 m , seguendo nel
campo una linea obliqua (questa operazione era detta
«
purtą l'ąndė
»).
Il legatore che li seguiva aveva il compito, muovendosi da una
estremitą allaltra della squadra, di raccogliere i mannelli (i
ģermėtė), tagliati e lasciati per
terra, e di sistemarli legandoli in covoni (i grégnė). La legatura
veniva eseguita con lo stesso grano: il legatore sceglieva due mazzi
di spighe che intrecciava ottenendo una sorta di legaccio con
cui avvolgeva il covone. Anche questo lavoro era faticoso e
richiedeva capacitą di concentrazione e precisione, per
evitare che il covone si sciogliesse. Non solo: il legatore doveva
essere veloce, in modo da dare il ritmo ai mietitori, per questo era
spesso lo stesso proprietario o il conduttore del terreno a farlo.
I covoni venivano sistemati sul campo uno davanti all'atro in
file
(vusģellė)
di 10-12 con le spighe rivolte verso l'alto, per
facilitare lo scivolamento dell'acqua in caso di pioggia,
in attesa di essetre trasportati con le tregge (i
trągliė) sull'aia per la trebbiatura. Terminata la
mietitura, si procedeva alla spigolatura, attivitą
praticata generalmente dalle donne, che raccoglievano le spighe
cadute tra le stoppie, mettendole nel grembiule legato in vita.
I lavorati giornalieri, in genere,
percepivano dal datore di lavoro una paga in
denaro per ogni giorno, che era diversa se « alla scarsa », cioč
senza che il datore di lavoro desse loro da mangiare, o « con le spese
». Durante la mietitura vigeva l'uso « di fare sempre le spese ». I
mietitori mangiavano quattro volte al giorno: al mattino, appena
alzati, si faceva la prima colazione detta «
ruppėdėsciłnė » , verso le dieci si faceva una seconda
colazione detta «
féllė », verso le 14,30 si mangiava
un'altra volta, si faceva «a murénė », la sera si consumava il
tradizionale pasto nella masseria o nella casa del
datore di lavoro. Il vero pasto, a base di piatti caldi, era solo
quello
della sera. Negli altri pasti venivano consumati pane,
cipolla, uova, formaggio, sarde frittate, peperoni ripieni
ecc. Durante i pasti veniva servito anche il vino, mentre l'acqua
era porta ai mietitori durante il lavoro con
l'orciuolo (u
vłmmėlė)
, ogni volta che era richiesta.
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