UN PAESE DA SCOPRIRE

MEMORIE

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

 

La trebbiatura

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LA CASA CONTADINA  IL DERBY NGAP' A TÉRRË- MBÉD' A TÈRRË  LA FERRATURA DEGLI ASINI  I GIOCHI DEL PASSATO

 IL MATRIMONIO NEGLI ANNI '50  LA MIETITURA LA TREBBIATURA

 

       

A Gallicchio, come in ogni parte del mondo in cui si sono coltivati i cereali, i contadini nel corso dei secoli hanno usato diversi sistemi per sgranare le spighe di grano  per farne uscire i chicchi. Nonostante negli anni trenta del XX secolo fosse apparsa la trebbiatrice azionata dal motore a scoppio, fino agli inizi  anni '50 molti contadini utilizzavano ancora la tecnica di trebbiatura tradizionale.  

La trebbiatura si svolgeva sull'aia,  ampio spazio di forma circolare antistante le masserie, del diametro mediamente di 10 metri. L' area  dell’aia era delimitata da cordoli in pietra, mentre il pavimento era costituito, di solito, da un ciottolato di pietre. Terminata la mietitura le messi venivano trasportate sull'aia con i carri o con le  tregge  tirate da buoi,  per essere ammassati  man mano dalla abili mani dei contadini fino a formare delle biche più piccole (i vardéllë) o più grandi (i cavàllë), coperte alla sommità dagli stessi covoni a mo' di tetto spiovente per evitare l'infiltrazione di acqua in caso di pioggia. Sulla sommità dei «cavàllë» veniva collocata, come buon augurio per un abbondante raccolto, una composizione, detta «sandumartìnë», che era formata da un insieme di mazzetti di spighe, legati tra loro sino al collo in modo che le ariste di ciascun mazzetto formassero un ventaglio o un ciuffo.

Prima della trebbiatura si ponevano nell'aia in cerchio i covoni slegati e aperti nella  giusta quantità ,  quindi si legava  al giogo, portato da due buoi,  una grossa pietra la quale strisciando sulle spighe le sgranava. Dietro gli animali che calpestavano le spighe e trascinavano  la pietra c'erano sempre  degli uomini che ammassavano e rivoltavano la paglia, eliminandola man mano con forche di legno a due rebbi(furchìšënë) o tre rebbi  (furcéllë). Una volta eliminata la paglia grossa, i residui piccoli, spighe rimaste intere o altri elementi estranei, venivano  raccolti con un rastrello. Altri operai nel frattempo ammucchiavano  il grano da pulire con le pale e recuperavano dietro di loro i chicchi rimasti con scope di saggina o di ginestra. A questo punto bisognava separare i chicchi dalle impurità con cui si erano  mescolati: la pula (cioè gli involucri che si erano staccati dalle spighe durante la trebbiatura) piccoli frammenti di paglia, sassolini, terra ecc.. Questa operazione veniva effttuata in due modi: la ventilazione e la crivellazione.  Il grano da pulire veniva  lanciato in aria con  le pale di legno, cercando di sfruttare l’azione del vento e l’effetto del lancio: era  un lavoro che poteva durare anche alcuni giorni.  Per  una  pulitura più accurata veniva usato il crivello (a iëràlë),  un setaccio con bordo basso e fondo provvisto di fori più o meno grandi (quello da grano aveva i fori  più piccoli). Diventato pulito,  il grano veniva misurato con un recipiente di legno della capacità di 25 kg. detto «mìenżë-tùmmënë», messo nei sacchi e immagazzinato.

Nelle nostre campagne il sistema di trebbiatura con la macchina cominciò ad affermarsi a scapito del sistema a tradizionale nel corso degli anni '50. Verso il 15 luglio di ogni anno le trebbiatrici cominciavano a  far il giro dei luoghi in cui  tutti i contadini della stessa zona avevano eretto le proprie bighe,  luoghi  di facile accesso alle macchine e in vista di una  masseria per evitare incendi dolosi, colposi o casuali. La trebbiatura iniziava una volta che  tutte le apparecchiature occorrenti erano state sistemate. Davanti alla trebbiatrice veniva posizionata  l'imballatrice: le macchine dovevano lavorare in piano e ciò si otteneva o affossando una e più ruote, o mettendo delle assi di legno sotto le ruote più basse. Dietro alla trebbiatrice veniva messo il trattore che  azionava la macchina mediante un comando a grossa cinghia, larga da 15 a 20 cm e dello spessore di quasi un centimetro (u cignónë). I primi modelli di  trebbiatrici richiedevano che i covoni venissero introdotti direttamente nel battitore dal barcone della trebbia, per questo venivano ribaltate le sponde laterali della macchina poste nella parte superiore, che erano rinchiuse verso l'alto durante le fasi di trasferimento, su queste e posteriormente venivano messe altre sponde verticali e perpendicolari alle prime per meglio delimitare il piano di lavoro, quindi  una o più persone buttavano con le forche i covoni sul pianale dove una persona tagliava i legacci.  Sul piano di lavoro della trebbiatrice c' era una tramoggia dentro la quale girava ad elevata velocità un rullo sgranatore denominato, battitore.   Davanti alla tramoggia c' era una buca nella quale prendeva posto uno dei due addetti alla trebbiatrice che sporgeva dal piano di lavoro dalla cintola in su: il suo lavoro consisteva nel buttare nella  tramoggia i covoni slegati. Negli anni sessanta con l'evoluzione tecnolgica,  per motivi antinfortunistici, venne messo a  punto un sistema di inserimento delle spighe mediante un nastro trasportatore che veniva orientato verso il punto in cui l’ammasso di grano prodotto era più alto.  Da apposite bocchette poste nella parte posteriore della trebbiatrice uscivano i chicchi di grano che erano raccolti normalmente in un contenitore metallico cilindrico che conteneva sempre «mìenżë-tùmmënë» di grano,  all'incirca 25 kg. Quando era pieno, si chiudeva la bocchetta d'uscita del grano, si calzava sul «mìenżë-tùmmënë» un sacco, e due uomini impugnandolo per apposite maniglie, lo vuotavano nel sacco stesso. I sacchi erano portati a spalla da due o tre uomini a destinazione che poteva essere o l'aia, o un porticato, oppure il solaio. Dalla parte bassa anteriore della trebbiatrice usciva in basso la pula (a iùschë), mentre dalla parte alta anteriore usciva  la paglia, che ricadeva sulla parte posteriore dell'imballatrice; questa parte dell'imballatrice era inclinata, munita di sponde fisse e di un sistema di trascinamento che portava la paglia fino ad un punto dove era spinta nella zona d'imballaggio da un pestello a forma di prisma a base quadrata che si alzava e si abbassava alternativamente. La paglia era compressa e imballata da un pesante carrello dotato di moto alternativo.Gli addetti all'imballatrice avevano il compito di posizionare delle forcelle che servivano a delimitare la lunghezza delle balle di paglia e facilitavano il passaggio dei fili di ferro che servivano a legarle.  I fili di ferro, preparati a parte con un apposito attrezzo, avevano ad una sola estremità un occhiello,  erano  perfettamente tesi e  tutti della stessa lunghezza.

Nonostante fosse molto faticosa perché eseguita al sole in piena estate con l'immancabile contorno di un polverone che si attaccava subito sulla pelle  bagnata di sudore, in un rumore quasi monotono e assordante, la trebbiatura era un momento di grande allegria .  Un abbondante  pranzo  era servito alla fine della giornata di trebbiatura. Ad esso partecipavano tutti quelli che avevano collaborato ai lavori, un riguardo particolare era riservata ai macchinisti (i trëbbëìstë).

Anche la trebbiatrice è una macchina che ormai appartiene al  passato, sostituita dalla mietitrebbia che esegue la trebbiatura contemporaneamente alla mietitura. Oggi le macchine arrivano direttamente nei campi e tagliano tutto; mietitura e trebbiatura si compiono in meno di un’ora per campo; la paglia viene lasciata per terra e imballata subito dopo. I gesti lenti, manuali, aggraziati dei contadini sono sostituiti dai movimenti meccanici, rapidissimi e freddi di enormi macchine che corrono frettolosamente da un campo all’altro.

 
 

Dedicato ai contadini gallicchiesi di una volta