UN PAESE DA SCOPRIRE

MEMORIE

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

La ferratura degli asini

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LA CASA CONTADINA  IL DERBY NGAP' A TÉRRË- MBÉD' A TÈRRË  LA FERRATURA DEGLI ASINI   I GIOCHI DEL PASSATO

IL MATRIMONIO NEGLI ANNI '50  LA MIETITURA  LA TREBBIATURA

 

       

Gli animali più frequentemente utilizzati nelle attività agricole erano un tempo a Gallichio, come in tanti altri paesi del Mezzogiorno, e più in generale dell'intera area mediterranea, l'asino e il bue. Il primo era in passato inseparabile dal contadino. A farne l'ideale animale da trasporto concorreva, qui ancor più che altrove, la particolare conformazione dell'abitato: è difficile immaginare un altro animale in grado di arrampicarsi in modo altrettanto agevole sulle strade. L'asino non veniva adoperato, però, soltanto per il trasferimento quotidiano in campagna e il trasporto delle merci: veniva anche usato, soprattutto dai contadini  in alcuni lavori agricoli, ad esempio per trainare l'aratro e l'erpice, almeno i tipi più piccoli e meno pesanti. Questo spiega l'elevato numero degli asini a Gallicchio fino agli anni '70.

La bottega  del fabbro era un continuo via vai di persone che avevano bisogno di nuove ferrature, perché la presenza del “ferro“ consentiva di evitare il logorarsi dello zoccolo dell'asino salvaguardando l'integrità della parte interna, callosa e non cornea..  Pochi attrezzi costituivano il corredo del fabbro, pinza, maglio, incudine, forgia e tanta forza nelle braccia. Dalle prime ore del mattino, poco dopo che il carbone nella forgia avesse iniziato a scoppiettare, il fabbro era già all'opera. I colpi secchi inferti al ferro rovente battuto sull'incudine, avvisava il vicinato dell'inizio di una nuova lunga giornata di lavoro.  La ferratura era preceduta dalla sferratura dal vecchio ferro, l'unghia dello zoccolo veniva quindi tagliata e livellata. Gli attrezzi indispensabili per il pareggio erano la "ròiënë"  (cfr.  figura sottostante)

e la raspa. Terminato il pareggio, il fabbro sceglieva  il ferro di dimensioni e di forma più adatta allo zoccolo, lavorandolo con la mazza e l'incudine, se necessario, a caldo o a freddo, fino ad

ottenere la  migliore corrispondenza possibile. Per verificare la presenza di un contatto perfetto fra la superficie inferiore dello zoccolo e la superficie superiore del ferro, il fabbro procedeva  alla cosiddetta "ferratura a caldo"; applicava, cioè, il ferro arroventato allo zoccolo stesso, diffondendo nell' aria un gran puzzo di unghie bruciate, per verificare che l'azione del calore lasciasse una traccia omogenea e continua in tutto il perimetro del ferro. Ottenuta la maggiore corrispondenza possibile fra zoccolo e ferro, il fabbro procedeva all'inchiodatura, utilizzando dei chiodi lamellari a testa quadra (i pòstë),   infissi obliquamente. Dopo un adeguato accorciamento della parte sporgente, la punta dei chiodi veniva  ribattuta verso il basso.

L’operazione si svolgeva all’aperto e il padrone dell’animale era quello deputato a sostenere la zampa nella giusta posizione ma, nonostante ciò, capitava anche che qualche asino, non ben disposto, si mettesse a scalciare, mettendo a rischio l’incolumità dei passanti. Quando la bestia non era molto consenziente si usava, per ammansirla, un attrezzo detto  "u turcëtùrë" (il torcinaso) che consisteva  in un laccio legato ad anello all'estremità di un'asta di legno che, ruotata, stringeva il laccio attorno al muso dell'animale costringendolo a stare immobile.

L'ultimo fabbro-maniscalco di Galicchio è stato Filippo Balzano (classe 1929, morto nel 2002), chiamato Màstë Fëlìppë, che oltre ai ferri degli asini e dei muli,  forgiava  o temperava sull' incudine vari tipi di zappe (zàppë, zappëtéllë, zappùllë), piconi  a un solo dente (sciamàrrë) e a due denti (sciamàrr' a cròccë),  scuri, accette, mazze, cunei, parti dell'aratro (vòmërë) ecc..

 

Dedicato a Màstë Fëlìppë