UN PAESE DA SCOPRIRE

MEMORIE

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

La casa contadina

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LA CASA CONTADINA  IL DERBY NGAP' A TÉRRË- MBÉD' A TÈRRË  LA FERRATURA DEGLI ASINI  I GIOCHI DEL PASSATO

IL MATRIMONIO NEGLI ANNI '50  LA MIETITURA  LA TREBBIATURA

 

       

Tutti i paesi della Lucania, fino alla metà del novecento,  erano prevalentemente agricoli e gli abitanti erano quasi tutti dediti  ai lavori dei campi. Le case erano tutte simili tra loro, così gli oggetti che le arredavano.
La casa del contadino era veramente povera sia nella costruzione che nell'arredamento. Le costruzioni, in generale, erano fatte di pietra viva e calce o di mattoni e calce  e non sempre erano intonacate esternamente. Internamente invece, la parte abitata dalle persone era intonacata ed ogni tanto  veniva imbiancata con calce viva dal momento che durante l'inverno si abbruniva per il fumo proveniente dal fuoco e dal forno. Il pavimento era generalmente fatto di mattoni di creta , il cielo era di canne intrecciate (a ngannàtë) e travi.

La casa solitamente era di un solo ambiente; il letto, formato da due supporti di ferro (i trastìellë) su cui poggiavano le tavole, alto a volte mt. 1,50/1,60
 (sotto circolavano gli animali presenti in casa), era situato su una delle pareti dell'abitazione ed orientato in modo tale che quando la persona dormiva i piedi non fossero diretti verso la porta .
Sotto il materasso di  lana (oppure di stoppa o di capecchio) era sistemato il «sacco», che era riempito
 di foglie di granturco che, durante i movimenti, rompevano il silenzio della notte. La mattina  il sacco provvisto  di aperture, veniva ravvivato per dargli volume.

 


Intorno alle restanti pareti venivano sistemati i letti dei figli più grandi, e quando la famiglia era numerosa ed in casa non c'era posto, nello stesso letto dormivano due o più figli.  I figli piccoli dormivano nel letto dei genitori. Alla parete sovrastante il letto matrimoniale erano sospesi ad un chiodo immagini di santi o qualche fotografia di cari lontani o morti, incorniciati in modo molto semplice. Componevano inoltre l'arredamento della casa alcuni sedili di legno a tre piedi (i scannìellë), qualche sedia impagliata, un  piccolo tavolo (a bbuffèttë), delle casse di legno per la biancheria e gli alimenti,  la  culla  (a nàchë) sospesa alle travi.

 

 

Nel porta-barili  (u varëllàrë)  venivano riposti i barili  che servivano per l'approvvigionamento di acqua per la casa e che erano trasportati su un animale (asino, cavallo o mulo) o sul capo delle donne. L'acqua veniva attinta dal barile un recipiente a forma di tronco di cono formato da doghe di legno poste l' una vicina all'altra, legate tra loro da una cintola di legno o di ferro (a galéttë), o con l' orciuolo, recipiente di terracotta tondeggiante e panciuto con due anse laterali e terminante con un collo molto stretto (u vùmmëlë).
Una struttura di legno pensile (a  ppënnëràmë) veniva utilizata per appendere pentole e attrezzi da cucina.

 

 

Agli angoli della casa (ndi ngògnë), venivano riposti gli attrezzi leggeri di lavoro: zappe  ed altri attrezzi forniti di lunghi manici (i stìlë). L'unica fonte di luce era, quasi sempre, la porta che si componeva di tre parti: una parte, generalmente fissa, chiudeva metà dell'uscio, e nella parte inferiore di essa vi era un foro circolare che serviva per fare entrare i gatti. L'altra metà era divisa in due parti: una superiore e una inferiore; quella inferiore veniva chiusa con un paletto di legno posto ad incastro (u salascìnë), mentre quella superiore veniva chiusa da una serratura (a mašcatùrë)  azionata da chiave piuttosto grande. D'inverno, quando il vento spirava in senso contrario, usciva dal camino fumo accecante che riempiva la casa, per cui era necessario tenere aperta la porta. Il camino era indispensabile in ogni casa; il fuoco vivo dava luce, calore e vita. Al fuoco d'inverno veniva messa costantemente una pentola  di creta  (a pëgnàtë) dove cuocevano fagioli, lenticchie, ceci, legumi in genere, essendo questi il cibo costante e prevalente del contadino. Il focolare era fornito di una  molla  di ferro per la brace,  di un soffione (u iatafùochë), di una serie di palette e di  un arnese in ferro battuto formato da grossi anelli e da ganci tutti uniti tra loro per appendervi la caldaia sul fuoco in sostituzione del treppiede (a camàstrë).

 


Nei pressi del fuoco era sospeso alle travi un lungo pezzo di legno, una verga, dove d'inverno venivano appese la salsiccia, la soppressata, il lardo, la vescica del maiale riempita di sugna e salame. Tutti questi prodotti erano stagionati in modo eccellente dal fumo proveniente dalla focolare. Su questa stessa verga sospesa, d'estate, si appendevano peperoni,  peperoncini,  pomodorini  ed altri prodotti ortofrutticoli da conservare per l'inverno e infilati insieme in filze  (i sèrtë)
Ogni casa era fornita di forno, ubicato internamente o appena fuori la porta, il quale veniva usato in media una volta alla settimana per provvedere a fare il pane per il normale consumo.
In ogni casa, poi,  c'erano gli attrezzi per fare il pane: il recipiente di legno che serviva per ammassare e far lievitare la farina (a fazzatùrë),la  spianatoia (u taulìellë),  le pale di legno, per porre nel forno il pane da cuocere,  il tirabrace (u rastìellë),   il frusciandolo per pulire il piano focolare del forno (u mùnnëlë).


La donna di casa la sera  prima della preparazione del pane poneva il lievito naturale, che conservava di volta in volta in una piccola  ciotola,  in un recipiente più grande aggiungendovi farina e acqua  per raggiungere la quantità sufficiente alla panificazione (auzàv' u crëscéndë).  La mattina presto del giorno seguente la massaia impastava la farina, dopo avervi unito il
«crëscéndë»,  e quando la pasta era ben lievitata  preparava le pagnotte (i šcanàtë). Prima di infornare le «šcanàtë» si cuocevano le pizze (i strazzàtë), le focaccie (i fëcàzzë),   i « pëcciulatìellë», ciambelle di  pane molto morbido.


Se la casa del contadino era fornita di finestra, sul davanzale veniva posta una pianta detta «rëcchézzë» quale auspicio per fugare la temuta e vissuta povertà. Ai due spigoli inferiori della finestra, alla distanza di circa 20/50 centimetri da ogni spigolo, vi erano due fori da cui fuoriuscivano due pali ben conficcati nel muro. Sopra questi pali veniva posto un piano formato da canne legate tra loro con fili di salice e di spago. Su questo piano (a  lëttérë), generalmente esposto a mezzogiorno,  venivano appoggiati dei  cesti molto originali fatti di rami di ginestra intrecciati (i cëstarìellë) che contennevano i  prodotti della terra, ortaggi e frutta, le conserve e salse di pomodoro da essiccare.

 


Nelle case non vi erano servizi igienici. Le persone andavano a fare i propri bisogni nella campagna circostante la casa di ognuno. Si era stabilita spontaneamente una specie di consuetudine, secondo la quale, ad un determinato posto andavano le donne ed a una certa distanza, in modo da non vedere le donne e non essere da queste veduti, si sistemavano gli uomini.