Gli usi e i costumi del popolo gallicchiese non differiscono molto
da quelli di altri paesi di Baslicata , benchè si siano piano piano
trasformati e abbiano perduto qua e là quell’impronta caratteristica
che avevano nel passato. Gli anni '50 del XX secolo sono stati lo
spartiacque tra tradizione e lmodernità , per questo li
abbiamo scelti per ricordare tutte le usanze legate al matrimonio.
Ogni ragazza gallicchiese,
com'era naturale, terminata l'adolescenza, aspettava con
trepidazione che un giovane la guardasse, la desiderasse come
"zìtë" (fidanzata) e poi chiedesse la mano ai suoi genitori. Il non
trovare marito dopo aver raggiunto una certa età, poteva
essere anche una calamità. Nei tempi passati quasi sempre la donna
non era in grado di produrre da sola reddito; questo compito era
affidato esclusivamente all'uomo che vi provvedeva con il suo
lavoro. L'esigenza di trovare marito in qualche caso poteva
costituire necessità di trovare chi, nel futuro, avrebbe
evitato alla donna di condurre una vita grama.
Spesso i primi amori nascevano in
chiesa o in occasione delle poche feste che venivano
organizzate, quando le ragazze
si facevano più belle e si mettevano il vestito buono. ll
giovane che aveva messo l'occhio su una fanciulla cominciava a
frequentare il rione dove abitava la futura fidanzata, la osservava,
si informava, se non era a conoscenza, del censo e di quanto altro
poteva giovargli per conoscerne meglio «i costumi». Se
si accorgeva di essere corrisposto, manifestava
il
dediderio di prendera la ragazza in sposa alla sua famiglia,
la quale dopo averne esaminato lo stato sociale ed economico, e soprattutto le qualità, le virtù e
l' onestà, decideva di fare la proposta di matrimonio. Di
solito erano gli stessi genitori che insieme a qualche parente più
intimo facevano la richiesta al padre della giovane, in
qualche caso l'incarico veniva affidato a una persona che
notoriamente sapeva fare le "ambasciate", un intemediario che, come
si soleva dire, "metteva le calze rosse", perchè quando il
matrimonio andava a buon fine veniva omaggiato di un paio di calze.
Nell'occasione si trattavano lì per lì i preliminari del matrimonio
per ciò che riguardava la dote. Fino agli anni '30 del '900 si usava
addirittura stilare un documento in carta da bollo detto "nota
dei panni" che elencava i beni portati in dote dalla giovine
come lenzuola, coperte, tovaglie, strofinacci, mobili, ecc.,
accettato e sottoscritto dalla famiglia del promesso sposo. In una
"nota dei panni" del 1921 si legge:
1 Sacco
di tela |
£ 60,00 |
2 Misale casaruole |
£ 12,00 |
1
Matarazzo |
£ 50,00 |
4 salviette casaruole |
£ 6,00 |
1 Bottita |
£ 40,00 |
1 Misale da pasta |
£ 9,00 |
1 Coperta di lana casarola |
£ 100,00 |
4 Camicette |
£ 20,00 |
1 Coperta bianca |
£ 40,00 |
1 sottaniello |
£ 15,00 |
1 Coperta casarola |
£ 50,00 |
1 vantisino |
£ 3,00 |
3 Paio di linzuoli |
£ 180,00 |
17 paio di calzette |
£ 23,00 |
1 Nanzilietto casaruolo |
£ 20,00 |
2 paio di scarpe |
£ 50,00 |
1 Nanzilietto tela bianca |
£ 12,00 |
4 cuscino di lana |
£ 25,00 |
1 Nanzilietto percallo |
£ 14,00 |
2 colle di lavorate |
£30,00 |
4 cuscino percallo |
£ 20,00 |
1 vertola |
|
4 cuscino cottone |
£ 25,00 |
1 caudarella usata |
£15,00 |
4 cuscino tela bianca |
£ 16,00 |
1 tiella |
£15,00 |
4 cuscino rossi |
£ 10,00 |
1 bavuglio usato |
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11 Camice |
£ 100,00 |
Totale |
£1019,00 |
3 paio mutande |
£ 15,00 |
Io qui sottoscrito dichiaro di aver ricevuto
tutti gli oggetti
Firma |
1 suttavesta percallo |
£ 10,00 |
1 chieca |
£ 7,00 |
2 soprafaccio |
£ 7,00 |
4 Tovaglia |
£ 12,00 |
2 Misale di lino |
£ 6,00 |
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Una volta definite tutte le questioni riguardanti il matrimonio, le famiglie
concordavano il giorno in cui lo sposo sarebbe stato presentato alla
fidanzata per farle il primo dono di dovere, cioè l’anello.
Ufficializzata l'unione, l'uomo poteva vedere la sua amata solo nei
giorni e negli orari prefissati dai suoi familiari. Vigeva la proibizione assoluta di incontri fuori casa,
anche se, in casi particolari, i due ragazzi uscivano insieme, ma
accompagnati sempre da almeno un componente delle loro famiglie. I
due innamorati, durante la visita del ragazzo, non si sedevano mai
vicini,
tra i due doveva esserci necessariamente o la madre o il padre
o una sorella e ciò per evitare delle «avances» che il fidanzato avrebbe fatto. Venivano evitate
tutte le occasioni di
incontri solitari tra i due, sino a quando non sarebbero stati
marito e moglie.
I
promessi sposi durante le festività pasquali si scambiavano
dei doni tradizionali: il giorno di Pasqua il fidanzato, insieme a
una rappresentanza di parenti, portava a casa della
fidanzata
una torta farcita , ricoperta di glassa e decorata con confetti,
fiori , nastri e carta colorata, detta "pëttëdòlcë o piettëdòlcë,
al cui centro era messa in bella mostra una catenina d'oro (u
làzzë), la fidanzata portava invece al fidanzato un dolce tipico di
Pasqua, "u vëscuòttë crësciùtë", guarnito con glassa,
uova sode e confetti. La domenica succesiva alla Pasqua
(l'Ottàvë dë Pàschë) i genitori della sposa offrivano ai
parenti di entrambe la famiglie un rinfresco a base di panini, con salame e provolone, e biscotti dolci e salati.
Se durante il periodo di fidanzamento tutto era andato per il
verso giusto, arrivava il momento di
scegliere la data del matrimonio. La scelta era influenzata anche da
credenze legate ai giorni della settimana e ai mesi. Non ci si
sposava a maggio perchè
considerato il mese degli asini, nè
a
novembre essendo il mese dei morti. V’erano poi periodi come Avvento e Quaresima in cui
i matrimoni erano interdetti. Per
quanto riguarda i giorni della settimana quelli
preferiti erano il giovedì e il sabato.
Fissata
la data, tre mesi prima dello sposalizio i futuri sposi
facevano la promessa di matrimonio, in comune e in chiesa, e la
richiesta di affissione delle pubblicazioni (i rëchiéstë).
L'occasione veniva festeggiata con un pranzo a casa della sposa a
cui erano invitati i parenti più stretti. Intanto si cominciava
a sistemare e ad arredare la casa della coppia: chi ne aveva le
possibilità economiche faceva
costruire i mobili appositamente dal falegname. Due persone di
famiglia facevano il giro delle case di parenti e amici per
invitarli al matrimonio. Qualche giorno prima
del lieto evento (di domenica se il matrimonio era stato
fissato per il mercoledì o il giovedì successivi, di giovedì se
la cerimonia era prevista per il sabato o la domenica successivi)
nella casa degli sposi i
parenti stretti dei futuri coniugi e le persone del vicinato
preparavano il letto per la prima notte di nozze, adoperando le lenzuola più
preziose e le coperte più belle del corredo della sposa.
Sopra il letto le persone invitate lasciavano in dono delle
banconote fermate con cinque confetti.
La casa nuova e la stanza da letto erano interdette alla
sposa, che non doveva sapere neanche quali lenzuola erano state
utilizzate, mentre lo sposo poteva assistere alla preparazione del talamo
nuziale.
Quando
arrivava il giorno tanto sospirato, fin dalle prime ore della mattina, le parenti , le amiche, le vicine, invitate e non invitate, si recavano
a casa della sposa e tutte collaboravano nel
vestirla, nell' agghindarla, nel farle indossare il vestito bianco, dono dello
sposo. Gli uomini invitati andavano a prendere a casa lo sposo per recarsi in
corteo a casa della "zìtë".
La sposa usciva di casa per recarsi in chiesa condotta dal
padre o da altra persona di famiglia, seguiva
lo sposo al braccio della suocera. Il corteo era aperto
da un gruppo di monelli
pronti a gettarsi per terra tra le gambe della gente per contendersi
i confetti (cannëllìnë
e ménnulë), misti a monetine da 5, 10, 50
lire, che i parenti degli sposi gettavano a manciate di tanto in
tanto in segno di giubilo, per rispondere agli amici o ai conoscenti che lungo la strada dalla soglia delle loro case
gettavano sugli sposi del grano, come augurio di abbondanza e fortuna.
In chiesa il matrimonio veniva celebrato con rito
tridentino che prevedeva l'uso della lingua latina.
Terminata la cerimonia il corteo nuziale, seguendo una via
diversa da quella dell'andata, si dirigeva verso la casa che era
stata preparata per ricevimento.
Quando il matrimonio
si svolgeva di mattina era previsto un pranzo a cui prendevano parte
tutti gli invitati (se questi erano numerosi il banchetto veniva
allestito in due o tre case limitrofe). Per preparare
il pranzo,
le famiglie degli sposi, che si dividevano equamente le spese e
mettevano a disposizione alimenti di produzione propria come, olio,
vino, uova, salame, si facevano aiutare dai parenti o
incaricavano persone esperte nel cucinare grandi quantità di
cibo. A Gallicchio fino alla fine degli anni '50 il cuoco più
rinomato era Vincenzo Robilotta, detto "Zë Vëcìenżë
Pòngë". Per allestire la tavola qualche settimana prima del
matrimonio i familiari degli sposi giravano per le case
di conoscenti e amici per chiedere in prestito tutto l'occorrente:
tavoli, sedie, tovaglie, posate, bicchieri, piatti,
vassoi, ecc. Per evitare problemi alla restistuzione,
ogni famiglia segnava gli oggetti che dava in uso con una goccia di
vernice di colore diverso.
Il
menù del pranzo era quasi sempre lo stesso:
antipasto
di soppressata, salame e provolone affettati (fëllàtë);
verdure
(di stagione) in brodo con polpettine di carne tritata;
zite
con sugo di carne;
carne
al sugo;
carne
arrosto con contorno di patate al forno e insalata;
frutta
di stagione;
sospiri
tradizionali
(i dòlcë p'u nàsprë) e a forma di pera
ricoperti di glassa verde;
taralli
salati,
aromatizzati con finocchio selvatico (
i vëscùottë
p'u fënùcchiië),
taralli dolci, ricoperti o no di glassa (i
vëscùottë pë l'óvë),
paste secche, amaretti.
Alla
fine del pranzo gli sposi passavano per i tavoli con un cestino
pieno di confetti e la sposa con un cucchiaio ne dava cinque ad ogni
invitato, come segno di buon augurio.
Se la
cerimonia si svolgeva di pomeriggio veniva offerto un rinfresco.
Nelle stanze adibite ai festeggiamenti si mettevano le sedie
tutt'intorno alle sale per gli invitati che attendevano
pazientemente la distribuzione con i vassoi delle rosette con salame
e provolone, dei biscotti salati, del vino per inzupparvi i "
vescuòttë p'u fënùcchiië", dei liquori
di colori diversi, fatti in casa con zucchero, alcool ed essenze
varie,
che accompagnavano i biscotti dolci e gli immancabili sospiri
attesi da tutti.
Dopo il pranzo o il rinfresco c' era sempre un suonatore di
organetto o una orchestrina che iniziava a suonare dopo i lunghi
brindisi. Le danze, aperte dagli gli sposi, si
protraevano sino a notte inoltrata. Il ballo più comune era la tarantella, ma
si ballavano anche il valzer, la polka, il
tango, la marzurca.
Prima di mezzanotte gli sposi, accompagnati dai parenti più intimi,
prendevano possesso della nuova casa. Durante il ballo chi non aveva
inviato il regalo consegnava allo sposo una busta contenente denaro.
Era anche uso comune che i suonatori, prima di rincasare, portassero
la serenata sotto la finestra o davanti alla porta degli sposi.
La
mattina successiva gli sposi non si alzavano sino a quando i
familiari non potavano loro qualcosa da mangiare. Per un
settimana intera la coppia non potevan uscire di casa se non di
sera per recarsi dai parenti che li invitavano a cena. L’ottavo
giorno dopo matrimonio,
marito e moglie
indossavano i vestiti eleganti avuti in dote ed effettuavano la loro
prima uscita in
pubblico.
segue
>Galleria
fotografica sposi
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