UN PAESE DA SCOPRIRE

MEMORIE

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

Il matrimonio negli anni '50

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LA CASA CONTADINA  IL DERBY NGAP' A TÉRRË- MBÉD' A TÈRRË  LA FERRATURA DEGLI ASINI  I GIOCHI DEL PASSATO

 IL MATRIMONIO NEGLI ANNI '50  LA MIETITURA  LA TREBBIATURA

 

       

Gli usi e i costumi del popolo gallicchiese non differiscono molto da quelli di altri paesi di Baslicata , benchè si siano piano piano  trasformati e abbiano perduto qua e là quell’impronta caratteristica che avevano nel passato. Gli anni '50 del XX secolo sono stati lo spartiacque tra  tradizione e lmodernità , per questo li abbiamo scelti per ricordare tutte le usanze legate al matrimonio.

Ogni ragazza gallicchiese, com'era naturale, terminata l'adolescenza, aspettava con trepidazione che un giovane la guardasse, la desiderasse  come "zìtë" (fidanzata) e poi chiedesse la mano ai suoi genitori. Il non trovare marito dopo aver raggiunto una certa età, poteva  essere anche una calamità. Nei tempi passati quasi sempre la donna non era in grado di produrre da sola reddito; questo compito era affidato esclusivamente all'uomo che vi provvedeva con il suo lavoro. L'esigenza di trovare marito in qualche caso  poteva costituire  necessità di trovare chi, nel futuro,  avrebbe evitato alla donna di condurre una vita grama.

Spesso i primi amori nascevano in chiesa o  in occasione delle poche  feste che venivano organizzate, quando le ragazze si facevano più belle e si mettevano il vestito buono.  ll giovane che aveva messo l'occhio su una fanciulla cominciava a  frequentare il rione dove abitava la futura fidanzata, la osservava, si informava, se non era a conoscenza, del censo e di quanto altro poteva giovargli per conoscerne meglio «i costumi». Se  si accorgeva di essere corrisposto,   manifestava  il dediderio di prendera la ragazza in sposa  alla sua famiglia,  la quale dopo averne esaminato lo stato sociale ed economico, e soprattutto le  qualità,   le virtù e  l' onestà,  decideva di fare la proposta di matrimonio. Di solito erano gli stessi genitori che insieme a qualche parente più intimo facevano la richiesta al padre della giovane,  in qualche caso  l'incarico veniva affidato a una persona che notoriamente sapeva fare le "ambasciate", un intemediario che, come si soleva dire, "metteva le calze rosse", perchè quando il matrimonio andava a buon fine veniva omaggiato di un paio di calze. Nell'occasione si trattavano lì per lì i preliminari del matrimonio per ciò che riguardava la dote. Fino agli anni '30 del '900 si usava  addirittura stilare un documento in carta da bollo  detto "nota dei panni" che elencava  i beni portati in dote dalla giovine come  lenzuola, coperte, tovaglie, strofinacci, mobili, ecc.,  accettato e sottoscritto dalla famiglia del promesso sposo. In una   "nota dei panni" del 1921  si legge:

1 Sacco di tela £ 60,00 2 Misale casaruole £ 12,00
1 Matarazzo £ 50,00 4 salviette casaruole    £ 6,00
1 Bottita £ 40,00 1 Misale da pasta £ 9,00
1 Coperta di lana casarola £ 100,00 4 Camicette £ 20,00
1 Coperta bianca £ 40,00 1 sottaniello £ 15,00
1 Coperta casarola £ 50,00 1 vantisino £ 3,00
3 Paio di linzuoli £ 180,00 17 paio di calzette £ 23,00
1 Nanzilietto casaruolo £ 20,00 2 paio di scarpe £ 50,00
1 Nanzilietto  tela bianca £ 12,00 4 cuscino di lana £ 25,00
1 Nanzilietto percallo £ 14,00 2 colle di lavorate £30,00
4 cuscino percallo £ 20,00 1 vertola  
4 cuscino cottone £ 25,00 1 caudarella usata £15,00
4 cuscino tela bianca £ 16,00 1 tiella £15,00
4 cuscino rossi £ 10,00 1 bavuglio usato  
11 Camice £ 100,00

Totale

£1019,00
3 paio mutande £ 15,00

Io qui sottoscrito dichiaro di aver ricevuto tutti gli oggetti

Firma

1 suttavesta percallo £ 10,00
1 chieca £ 7,00
2 soprafaccio £ 7,00
4 Tovaglia £ 12,00
2 Misale di lino £ 6,00

Una volta definite tutte le questioni  riguardanti il  matrimonio,  le famiglie concordavano il giorno in cui lo sposo sarebbe stato presentato alla fidanzata per farle il primo dono di dovere, cioè l’anello. Ufficializzata l'unione, l'uomo poteva vedere la sua amata solo nei giorni e negli orari prefissati dai suoi familiari. Vigeva la proibizione assoluta di incontri fuori casa, anche se, in casi particolari, i due ragazzi uscivano insieme, ma accompagnati sempre da almeno un componente delle loro famiglie. I due innamorati, durante la visita del ragazzo, non si sedevano mai vicini,  tra i due doveva esserci necessariamente o la madre o il padre o una sorella e ciò per evitare delle «avances» che il fidanzato avrebbe fatto. Venivano evitate tutte le occasioni di incontri solitari tra i due, sino a quando non sarebbero stati marito e moglie.

I promessi sposi durante le  festività pasquali si scambiavano dei doni tradizionali: il giorno di Pasqua il fidanzato, insieme a una rappresentanza di  parenti, portava  a casa della fidanzata  una torta farcita ,  ricoperta di glassa e decorata con confetti, fiori , nastri e carta colorata, detta "pëttëdòlcë o piettëdòlcë, al cui centro era messa in bella mostra  una catenina d'oro (u làzzë), la fidanzata portava invece al fidanzato un dolce tipico di Pasqua, "u vëscuòttë crësciùtë", guarnito con  glassa,  uova sode  e confetti. La domenica succesiva alla Pasqua (l'Ottàvë dë Pàschë) i genitori della sposa offrivano  ai parenti di entrambe la famiglie un rinfresco a base di panini, con salame e provolone,  e biscotti dolci e salati.

Se durante il periodo di fidanzamento tutto era andato per il  verso giusto, arrivava il momento di scegliere la data del matrimonio. La scelta era influenzata  anche da credenze legate ai giorni della settimana e ai mesi. Non ci si sposava a maggio perchè considerato il mese degli asini, nè a novembre essendo il mese dei morti. V’erano poi periodi come Avvento e Quaresima in cui i matrimoni erano interdetti. Per quanto riguarda i giorni della settimana quelli  preferiti erano il giovedì e  il sabato.

Fissata  la data,  tre mesi prima dello sposalizio i futuri sposi facevano la promessa di matrimonio, in comune e in chiesa, e  la richiesta di affissione delle pubblicazioni (i rëchiéstë). L'occasione veniva festeggiata con un pranzo a casa della sposa a cui erano invitati  i parenti più stretti. Intanto si cominciava a sistemare e ad arredare la casa della coppia: chi ne aveva  le possibilità economiche  faceva costruire i mobili appositamente dal falegname. Due persone di famiglia  facevano il giro delle case di parenti e amici per invitarli al matrimonio.  Qualche giorno prima del lieto evento (di  domenica se il matrimonio era stato fissato per il mercoledì o il giovedì successivi, di giovedì  se la cerimonia era prevista per il sabato o la domenica successivi) nella casa degli sposi i parenti stretti dei futuri coniugi e le persone del vicinato  preparavano  il letto per la prima notte di nozze, adoperando le lenzuola più preziose e le coperte più belle del corredo della sposa. Sopra il letto le persone invitate lasciavano in dono delle banconote fermate con cinque confetti.  La casa nuova e  la stanza da letto erano interdette alla sposa, che  non doveva sapere neanche quali lenzuola erano state utilizzate, mentre lo sposo poteva assistere alla preparazione del talamo nuziale.

Quando arrivava il giorno tanto sospirato,  fin dalle prime ore della mattina,  le  parenti , le amiche,  le vicine, invitate e non invitate, si recavano a  casa della sposa  e  tutte collaboravano nel vestirla, nell' agghindarla, nel  farle indossare  il vestito bianco,  dono dello sposo. Gli uomini invitati andavano  a prendere a casa lo sposo per recarsi in corteo a casa della "zìtë". La sposa usciva di casa  per recarsi in chiesa condotta dal padre o da altra persona di famiglia, seguiva lo sposo al braccio della suocera. Il corteo era aperto da un gruppo di monelli pronti a gettarsi per terra tra le gambe della gente per contendersi i confetti  (cannëllìnë  e ménnulë), misti a monetine da 5, 10, 50 lire, che i parenti degli sposi gettavano a manciate di tanto in tanto in segno di giubilo, per rispondere agli amici  o  ai  conoscenti  che lungo la strada dalla soglia delle loro case gettavano sugli sposi del grano, come augurio di abbondanza e fortuna.

In chiesa il matrimonio veniva celebrato con rito tridentino che prevedeva l'uso della lingua latina.  Terminata la cerimonia  il corteo nuziale, seguendo una via diversa da quella dell'andata, si dirigeva verso la casa che  era  stata preparata per ricevimento. Quando il matrimonio si svolgeva di mattina  era previsto un pranzo  a cui  prendevano parte tutti gli invitati (se questi erano numerosi il banchetto veniva allestito in due o tre case limitrofe).  Per preparare il pranzo, le famiglie degli sposi, che si dividevano equamente le spese e mettevano a disposizione alimenti di produzione propria come, olio, vino, uova, salame,  si facevano  aiutare dai parenti o incaricavano  persone esperte nel cucinare grandi quantità di cibo.  A Gallicchio fino alla fine degli anni '50 il cuoco più rinomato era  Vincenzo Robilotta, detto "Zë Vëcìenżë Pòngë".  Per allestire la tavola qualche settimana prima del matrimonio i familiari degli sposi  giravano  per le case di conoscenti e amici per chiedere in prestito tutto l'occorrente:  tavoli, sedie, tovaglie,  posate, bicchieri,  piatti,  vassoi, ecc.  Per evitare problemi alla restistuzione,  ogni famiglia segnava gli oggetti che dava in uso con una goccia di vernice di colore diverso.

Il menù  del pranzo era quasi sempre lo stesso:

antipasto di soppressata, salame e provolone affettati (fëllàtë);

verdure (di stagione) in brodo con polpettine di carne tritata;

zite con sugo di carne;

carne al sugo;

carne arrosto con contorno di patate al forno e  insalata;

frutta di stagione;

sospiri tradizionali  (i dòlcë p'u nàsprë) e a forma di pera ricoperti di glassa verde;

taralli salati, aromatizzati con finocchio selvatico ( i vëscùottë p'u fënùcchiië),  taralli dolci, ricoperti o no di glassa (i vëscùottë pë l'óvë), paste secche,  amaretti.

Alla fine del pranzo gli sposi passavano per i tavoli con un cestino pieno di confetti e la sposa con un cucchiaio ne dava cinque ad ogni invitato, come segno di buon augurio.

Se la cerimonia si svolgeva di pomeriggio veniva offerto un rinfresco. Nelle stanze adibite ai festeggiamenti si mettevano le sedie tutt'intorno alle sale per gli invitati che attendevano pazientemente la distribuzione con i vassoi delle rosette con salame e provolone, dei biscotti salati, del vino per inzupparvi i " vescuòttë p'u fënùcchiië", dei liquori di colori diversi, fatti in casa con zucchero, alcool ed essenze varie, che  accompagnavano i biscotti dolci e gli immancabili sospiri  attesi da tutti.

Dopo il pranzo o il rinfresco c' era sempre un suonatore di organetto o una orchestrina che iniziava a suonare dopo i lunghi brindisi.  Le danze, aperte dagli gli sposi,  si protraevano sino a notte inoltrata. Il ballo più comune era la tarantella, ma si ballavano anche  il valzer, la polka, il tango, la marzurca.  Prima di mezzanotte gli sposi, accompagnati dai parenti più intimi, prendevano possesso della nuova casa. Durante il ballo chi non aveva inviato il regalo consegnava allo sposo una busta contenente denaro. Era anche uso comune che i suonatori, prima di rincasare, portassero la serenata sotto la finestra o davanti alla porta degli sposi.

 

La mattina successiva gli sposi non si alzavano sino a quando i familiari non  potavano loro qualcosa da mangiare. Per un settimana intera la coppia  non potevan uscire di casa se non di sera per recarsi dai parenti che li invitavano a cena. L’ottavo giorno dopo matrimonio, marito e moglie indossavano i vestiti eleganti avuti in dote ed effettuavano la loro prima uscita in pubblico.

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