UN PAESE  

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DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

STORIA

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| CONTRIBUTO ALLA STORIA DI GALLICCHIO (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) | IPOTESI SULL'ORIGINE DEL NOME |

| ELENCO DEI FEUDATARI DI GALLICCHIO E MISSANELLO |

 

     

Ipotesi sull'origine del nome Gallicchio (2)

 

Note del Prof. Cosmo Schiavo*

 

È probabile che Gallicchio medievale sia nata proprio intorno al monastero basiliano di Galliclum. La data sarebbe il 1060, secondo la dubbia Bolla di Godano, Arcivescovo di Acerenza, ad Arnaldo, Vescovo di Tricarico.

Proviamo a definire un breve quadro. La diocesi di Tricarico, fondata fin dal 968 dal patriarca di Costantinopoli, era ovviamente di rito greco. Proprio nel 1060, dopo l’ufficiale conquista normanna, sancita dal concilio di Melfi l’anno precedente, avviene il passaggio al rito latino. Tricarico diviene diocesi suffraganea di Acerenza, cioè subisce una deminutio. L’occupazione normanna della città era avvenuta diversi anni prima, nel 1048. I Normanni, oramai, erano i nuovi padroni anche della Lucania e rappresentavano il braccio armato della Chiesa. C’è da pensare che un ruolo preminente l’abbiano avuto, anche fisicamente, nella stipula di atti.

Monasterium Galliclum, genericamente. Senza un nome quel “monastero”, probabilmente un agglomerato di celle eremitiche italo-greche, intorno alla “lavra” madre, probabilmente dedicata all’Assunta. E intorno piccoli insediamenti di popolazioni, diciamo così, lucane, del ceppo osco-umbro-sannitico. Ritengo che la corretta lettura sia: il monastero presso Galliclum, dove è Galliclum, che, probabilmente, di fatto, era già possesso di qualche milite normanno.

Ritengo fondamentale la considerazione di Maria Grazia Balzano, che, partendo da riflessioni di ordine fonologico sul dialetto, risolve in gallicchiië (< Galliclum < Galliculum)  il toponimo, contaminato, poi, in Galluccio in età angioina.

Il toponimo diminutivo è presente, nelle vicinanze, in Monticchio, monticulus, “piccolo monte”, monticle, monticule in inglese, tra i primi insediamenti normanni, con un proprio castello, ovviamente normanno, città fortificata (Castrum Monticuli), con la presenza di ordini monastici italo-greci preesistenti, legati ai Longobardi (S.Michele Arcangelo), ma anche specificamente ai Normanni (S.Vito). Interessante l’iconografia di S.Vito, legato ad un gallo bianco, vestigio del dio slavo della luce, cui erano offerti in sacrificio dei galli. Insomma un attributo del dio che sarà rielaborato dalla cristianità. Occorre, però, soffermarsi un po’ sulla iconografia e sulla simbologia del gallo, certo non partendo dall’antichità classica.

 

Il gallo insegue i fantasmi e sconfigge i terrori della notte cantando all’alba. Rappresenta il coraggio dell’azione e la potenza della parola in grado di dissipare negatività.

L’iconografia dello stemma del paese, un gallo che scaglia una lancia, è fuorviante. Altro che gallus ictus! Non c’è la freccia sul portale della Chiesa del Carmelo (1610). È un simbolismo che nasce, comunque, in ambito cristiano o, meglio, ecclesiale, nella seconda metà del IX secolo. Fu il papa Niccolò I (858-867) che volle fosse posto sul più alto pinnacolo delle cattedrali, delle abbazie, delle chiese sopra le banderuole segnavento. È simbolo di vigilanza e di richiamo, con la mente rivolta alla nota vicenda evangelica di S.Pietro (Prima che il gallo canti etc)., ma anche di resurrezione, della luce di Cristo. Lo troviamo in un capitello del Battistero di Parma, ma in un capitello della cripta della bellissima cattedrale di Bitonto (XI sec., costruita dai Normanni): il Cristo vittorioso sta a significare anche la supremazia della chiesa militante su cui Egli veglia e che sempre, pur difendendola, fronteggia le tempeste da qualunque direzione provengono…è per questo che il gallo piazzato in cima ai campanili delle chiese, su un asse mobile che gira su se stesso secondo la direzione del vento, rende perpetuamente puntuale questo simbolismo.

È un emblema francese, il gallo. Su questo non vi è dubbio. Non con la freccia, ma con una sfera sotto le zampe lo troviamo sui dei controsigilli di Luigi Filippo, ma anche presente sulle punte delle bandiere e degli stendardi della marina sotto la Monarchia di luglio.

Il gallo: “gall”,“halu”, alto tedesco, “gallech” nel celtico irlandese, poi nel francone, come San Gallo (Gallech), il santo monaco irlandese che fondò, nella seconda metà del VI secolo, il famosissimo monastero, appunto, di San Gallo, in Svizzera, discepolo dell’ancora più famoso Colombano, fondatore dell’abbazia di Bobbio. Girovagarono un po’ tra la Francia e la Svizzera prima di trovare i “loro” luoghi. Divenne, inconsapevolmente, a causa del suo nome, protettore di galli e galline.

I Normanni, intanto, portavano i loro santi in giro per l’Italia, dopo aver protetto e contribuito a diffondere il monachesimo nelle zone di provenienza.

Il patrono dell’antica San Martino in Pensilis, una frazione di Taurianova (RC) è San Martino di Tours. Vi era un importante castello, appunto il castello di San Martino, eretto dai Normanni. Nel 1059, nella pianura sottostante si svolse la battaglia che consentì a Ruggero di sottomettere la Calabria. Lì si sposò…e vi portò anche la sua lingua, poi evolutasi nelle forme dialettali locali: “galle” o “halle”, le galle della quercia; “gallicchie o “hallicchie”, la parte interna e più tenera di un vegetale (ci’ a frecate tutt ‘í gallicchie d’a’nzalata, “hai preso tutte le parti più buone dell’insalata, cioè quelle interne, le più tenere, simili a piccole creste di gallo”); “Galline” o “haddine”, gallina/e; “galle” o “halle”, gallo/i. “Gallicchie” è anche nel dialetto di Termoli. Nel dialetto di Campobasso “Gallicchie” è il tallo, “quasi cresta delle erbe”. S. Martino d’Agri (PZ) è a quattro passi. Addirittura la Galizia è “Gallich” nell’antico celtico.

 Dunque “Gallicchie” è “una cresta”, in modo figurativo. Il toponimo “Cresta del Gallo”  è presente in Italia in diverse zone: il più noto è quello del Monte Cimone in Emilia Romagna, la maggiore vetta dell’Appennino tosco-emiliano,

 

Monte Cimone

 

poi in Abruzzo, Sicilia, Irpinia, ………Pietragalla è vicina alla nostra Gallicchio; Sinisgalli sembra un cognome abbastanza diffuso nel paese ( specifico del potentino, in particolare di Gallicchio >senis(“vecchio) + gallus (della Gallia) o alterazione da siniscalcus, tardo latino < dall’antico francese Siniscalk , titolo rispecchiante la funzione del capostipite, “servitore anziano”, all’epoca dell’influenza franca sull’Italia, dopo la caduta dei Longobardi, con significato non più originale di funzionario militare e amministrativo alle corti carolingie o sovrintendente alla mensa del re in epoca merovingia. Il grande Leonardo, di Montemurro (Castrum Montis Murri, c/a anno 1000 intorno a insediamenti italo-greci) ci perdoni.

 

Gallicchio

 

Non appare simile ad un cresta di gallo l’altura su cui poggia il paese.? È proprio Gallicchio, cioè Gallicchiië, l’altura che ha una forma che somiglia ad una piccola cresta di gallo e contraddistingue la zona.

 

Monticchio lucano è la zona sulla quale insiste un “piccolo monte”; Monticchio “Monticulus”< Mont, antico tedesco, frazione di L’Aquila, ne fu il primo insediamento; la stessa Aquila (accula) la sagoma montana che richiamava l’aquila sveva; Capizzo, una frazione di Magliano Vetere (SA) è un “piccolo capo”, “una piccola cima”, “una cresta”; Gallese è un paese del viterbese che ha come patrono il normanno San Famiano (+ 1150); Gallicchio è Gallicchiië < halu<gall<Gallech,“gallo”, “piccola cresta di gallo”.

Piccoli rispetto al monte per eccellenza, Castel del Monte, Mont Saint Michel!

 

Alla fine ci chiediamo se Gallicchio possa avere una etimologia di derivazione greca (per Gallico, RC,  è proposta un’improbabile  etimologia greco- ionica Geliuku, “terra del lupo”, ma dovrebbe derivare, più semplicemente, da un gallic, come nell’inglese; lo stesso potrebbe valere per la vicinissima Gallicianò[1]  ). Penso proprio di no. Alle colonie greche erano assegnati  nomi per lo più ben definiti.  Anche i toponimi di derivazione greca o greco-bizantina sono, nella maggior parte dei casi, ben individuabili e “leggibili”.  La zona sulla quale sorgerà la storica Gallicchio, pur in presenza di reperti archeologici (monete-vasi), che, comunque, testimoniano lo svolgersi di una certa forma di scambio commerciale sia con le colonie ioniche più vicine (Metaponto, Taranto, Eraclea, Turi, Sibari, Crotone) sia con quelle tirreniche del litorale salernitano (Paestum, Velia) attraverso il Vallo di Diano, fu toccata marginalmente dalla pur intensa colonizzazione greca della Basilicata centrale. Era abitata da insediamenti sparsi che insistevano sulla valle dell’Agri (navigabile, pare, all’epoca). Appare improbabile l’esistenza di un toponimo.

Tali nuclei di derivazione osco-umbro-sannitica  dovettero rimanere tali anche nel periodo romano per iniziare ad essere aggregati dal monachesimo italo-greco, probabilmente, intorno ad un primo nucleo, che aveva come riferimento quello che è chiamato monasterium[2], fino alla costituzione di un vero e proprio insediamento, in certo qual modo fortificato, ad opera del primo feudatario normanno[3], che seguì di poco la prima apparizione del toponimo. Da allora casale e toponimo si identificarono.

In mancanza di altre fonti probanti, anche questa rimane un’ipotesi, con alcuni, credo, non peregrini motivi di riflessione, consapevole, tuttavia, del proverbio spesso ricordato, con qualche differenza fonetica, da una vecchia zia lucana: Addù so tanta ‘addë a cantà nun fa mai giornë!


[1] Frazione di Condofuri (RC) è chiamata l’Acropoli della Magna Grecia (620 mt. s/l/m), nota anche come  il paese più greco d’Italia, fiera nel tutelare la tradizioni grecaniche. Si dice che fu fondata da abitanti della vicina Amendolara, anch’essa frazione, ma sulla costa, per sfuggire al pericolo saraceno. Il toponimo tardo bizantino Galikianon deriverebbe da un nome prediale di età romana d’epoca imperiale, cioè Gallicianum da un gentilizio latino Gallicius, In questo quadro spunta addirittura un tabellario romano dal nome Callicum.  Si dice anche che la città bizantina di Kallicòn, fondata dai Romani nel I sec.a. Ch. come Callicum o Gallicum ( oggi Kiltis, in Macedonia), nel X secolo fu saccheggiata dai Bulgari. Nuclei familiari avrebbero raggiunto, poi, la Calabria, all’epoca tema bizantino, fondando la cittadina di Gallichiano. L’unico documento certo è il toponimo tardo-bizantino to Galíkianon presente in un brébion del 1050. Il nome ci porta verso la Galizia, o, meglio, le Galizie, dapprima verso quella regione tra la Polonia e l’Ucraina, abitata da popolazioni celtiche (Halych è il nome ucraino della Galizia, che, a sua volta, rimanda linguisticamente al nostro “gallo”; poi, verso la provincia romana Gallaecia o Callaecia, nella quale nel 408 d.Ch. i Suebi fondarono l’omonimo regno. Nell’attuale Galizia si parla il galiziano o gallego, una lingua romanza che deriva dall’antico galiaco, che è un’evoluzione dell’antico irlandese, cioè la lingua celtico-galaica, la celtissima lingua galaica per i fieri galiziani. Gli stessi Romani chiamarono la regione Gallaecia dal nome del Callaeci, un’amalgama di popoli più o meno celtizzati, sconfitti dai Romani nel 137 a Ch. da Decimo Giunio Bruto, che beneficiò del titolo di Callaecus. I Greci (Erotodo e altri) li chiamavano Kallaikoi. Ebbene, secondo me, con il to galikíanon della pergamena tardo-bizantina non si indica altro che quel territorio in cui s’erano insdiate popolazioni di origine celtica, denominate “galiziane”. Vicinissimi troviamo tre toponimi simili: la stessa Gallicanò (Gaddhitsianò nella pronunzia dialettale), Gallico (Gallicò in greco-Calabro), ora rione di Reggio Calabria, e Gallina, altro rione di Reggio. Ciò ci induce a pensare ad una presenza “forte” e diffusa di popolazioni, diciamo così, “galliche”;

[2] Sul significato del termine  monasterium v. G.VOLPE-A.BIFFINO, San Giusto: la villa, le ecclesiae, Edipuglia, S.Spirito (BA), 1998, pp. 326 sgg. ( Alla fine del V secolo…non ha un valore semantico univoco e ben definito. Oltre ad un vero e proprio “monasterium” (sede di una comunità ascetica che..è connotata ancora da un livello organizzativo embrionale, con strutture che peraltro risultano ancora poco definite anche dal punto di vista architettonico-monumentale)…a volte il termine può indicare anche una semplice chiesa rurale, nel senso di chiesa officiata da un solo presbitero);

[3] v. anche R.CERCHIA, Gallicchio (PZ): un insediamento indigeno nell’alta Val d’Agri. Notizia preliminare, in “Studi di Antichità”, 6/1990, pp.147-150.

*Ringrazio il Prof.  Schiavo per aver sondato il problema dell'origine del toponimo Gallicchio e per avermi consentito di pubblicare questo testo, nonostante si tratti soltanto di appunti rielaborati in ritagli di tempo.

Il Prof. Cosmo Schiavo ( Salerno 18/11/1947),  laureatosi nel 1970 presso l’Università degli Studi di Napoli con Francesco Sbordone e Francesco Arnaldi, si specializza in Filologia classica e bizantina, perfezionando gli studi sulla ricerca filologica e storico/archeologica. Docente di materie letterarie, latino e greco, insegna per 13 anni nelle scuole secondarie superiori della provincia di Salerno, si dedica a studi sullo strutturalismo linguistico, sul formalismi russo e sulla poesia di autori meridionali, con particolare riferimento a Rocco Scotellaro. Dal 1984 è preside di ruolo negli istituti secondari superiori, impegnandosi anche nella formazione e nell’aggiornamento dei docenti, con particolare riguardo alla didattica della lingua latina e della storia. E’ autore di vari studi sulla storia locale, soprattutto su Laurino (SA). Collabora con alcune Università in qualità di coordinatore di studi di ricerca sulla storia e l’archeologia altomedievale (rapporti tra la cultura provenzale e normanna ed alcune aree della Campania, della Lucania, della Calabria). E’ autore di interventi di lettere e di varia umanità su riviste e giornali locali e nazionali; è relatore in diversi convegni. Attualmente si dedica prevalentemente alla sua passione giovanile per la meccanica pratica (auto d’epoca), intervallata da momenti altrettanto impegnativi di lavoro intellettuale, proponendosi di sistematizzare organicamente ed ampliare un lavoro, che sta svolgendo da molti anni, sui grecismi nel dialetto cilentano e dell’Alta Valle del Calore salernitano.