Ipotesi sull'origine del nome
Gallicchio (2)
Note del Prof. Cosmo Schiavo*
È probabile che Gallicchio
medievale sia nata proprio intorno al monastero basiliano
di Galliclum. La data sarebbe il 1060, secondo la
dubbia Bolla di Godano, Arcivescovo di Acerenza, ad
Arnaldo, Vescovo di Tricarico.
Proviamo a definire un breve
quadro. La diocesi di Tricarico, fondata fin dal 968 dal
patriarca di Costantinopoli, era ovviamente di rito greco.
Proprio nel 1060, dopo l’ufficiale conquista normanna, sancita
dal concilio di Melfi l’anno precedente, avviene il passaggio al
rito latino. Tricarico diviene diocesi suffraganea di Acerenza,
cioè subisce una deminutio. L’occupazione normanna della
città era avvenuta diversi anni prima, nel 1048. I Normanni,
oramai, erano i nuovi padroni anche della Lucania e
rappresentavano il braccio armato della Chiesa. C’è da pensare
che un ruolo preminente l’abbiano avuto, anche fisicamente,
nella stipula di atti.
Monasterium Galliclum,
genericamente. Senza un nome quel “monastero”, probabilmente un
agglomerato di celle eremitiche italo-greche, intorno alla
“lavra” madre, probabilmente dedicata all’Assunta. E intorno
piccoli insediamenti di popolazioni, diciamo così, lucane, del
ceppo osco-umbro-sannitico. Ritengo che la corretta lettura sia:
il monastero presso Galliclum, dove è Galliclum,
che, probabilmente, di fatto, era già possesso di qualche milite
normanno.
Ritengo fondamentale la
considerazione di Maria Grazia Balzano, che, partendo da
riflessioni di ordine fonologico sul dialetto, risolve in
gallicchiië (< Galliclum < Galliculum) il toponimo,
contaminato, poi, in Galluccio in età angioina.
Il toponimo diminutivo è presente,
nelle vicinanze, in Monticchio, monticulus,
“piccolo monte”, monticle, monticule in inglese, tra i
primi insediamenti normanni, con un proprio castello, ovviamente
normanno, città fortificata (Castrum Monticuli), con la
presenza di ordini monastici italo-greci preesistenti, legati ai
Longobardi (S.Michele Arcangelo), ma anche specificamente ai
Normanni (S.Vito). Interessante l’iconografia di S.Vito, legato
ad un gallo bianco, vestigio del dio slavo della luce, cui erano
offerti in sacrificio dei galli. Insomma un attributo del dio
che sarà rielaborato dalla cristianità. Occorre, però,
soffermarsi un po’ sulla iconografia e sulla simbologia del
gallo, certo non partendo dall’antichità classica.
Il gallo
insegue i fantasmi e sconfigge i
terrori della notte cantando all’alba. Rappresenta il coraggio
dell’azione e la potenza della parola in grado di dissipare
negatività.
L’iconografia dello stemma del
paese, un gallo che scaglia una lancia, è fuorviante. Altro che
gallus ictus! Non c’è la freccia sul portale della Chiesa
del Carmelo (1610). È un simbolismo che nasce, comunque, in
ambito cristiano o, meglio, ecclesiale, nella seconda metà del
IX secolo. Fu il papa Niccolò I (858-867) che volle fosse posto
sul più alto pinnacolo delle cattedrali, delle abbazie, delle
chiese sopra le banderuole segnavento. È simbolo di vigilanza e
di richiamo, con la mente rivolta alla nota vicenda evangelica
di S.Pietro (Prima che il gallo canti etc)., ma anche di
resurrezione, della luce di Cristo. Lo troviamo in un capitello
del Battistero di Parma, ma in un capitello della cripta della
bellissima cattedrale di Bitonto (XI sec., costruita dai
Normanni): il Cristo
vittorioso sta a significare anche la supremazia della chiesa
militante su cui Egli veglia e che sempre, pur difendendola,
fronteggia le tempeste da qualunque direzione provengono…è per
questo che il gallo piazzato in cima ai campanili delle chiese,
su un asse mobile che gira su se stesso secondo la direzione del
vento, rende perpetuamente puntuale questo simbolismo.
È un emblema francese, il gallo.
Su questo non vi è dubbio. Non con la freccia, ma con una sfera
sotto le zampe lo troviamo sui dei controsigilli di Luigi
Filippo, ma anche presente sulle punte delle bandiere e degli
stendardi della marina sotto la
Monarchia di luglio.
Il gallo: “gall”,“halu”, alto
tedesco, “gallech” nel celtico irlandese, poi nel francone, come
San Gallo (Gallech), il santo monaco irlandese che fondò, nella
seconda metà del VI secolo, il famosissimo monastero, appunto,
di San Gallo, in Svizzera, discepolo dell’ancora più famoso
Colombano, fondatore dell’abbazia di Bobbio. Girovagarono un po’
tra la Francia e la Svizzera prima di trovare i “loro” luoghi.
Divenne, inconsapevolmente, a causa del suo nome, protettore di
galli e galline.
I Normanni, intanto, portavano i
loro santi in giro per l’Italia, dopo aver protetto e
contribuito a diffondere il monachesimo nelle zone di
provenienza.
Il patrono dell’antica San
Martino in Pensilis, una frazione di Taurianova (RC)
è San Martino di Tours. Vi era un importante castello,
appunto il castello di San Martino, eretto dai Normanni. Nel
1059, nella pianura sottostante si svolse la battaglia che
consentì a Ruggero di sottomettere la Calabria. Lì si
sposò…e vi portò anche la sua lingua, poi evolutasi nelle
forme dialettali locali: “galle” o “halle”, le galle della
quercia; “gallicchie o “hallicchie”, la parte interna e
più tenera di un vegetale (ci’ a frecate tutt ‘í
gallicchie d’a’nzalata, “hai preso tutte le parti più
buone dell’insalata, cioè quelle interne, le più tenere,
simili a piccole creste di gallo”); “Galline” o “haddine”,
gallina/e; “galle” o “halle”, gallo/i. “Gallicchie” è anche
nel dialetto di Termoli. Nel dialetto di Campobasso
“Gallicchie” è il tallo, “quasi cresta delle erbe”.
S. Martino d’Agri (PZ) è a quattro passi. Addirittura la
Galizia è “Gallich” nell’antico celtico.
Dunque “Gallicchie” è
“una cresta”, in modo figurativo. Il toponimo “Cresta del
Gallo” è presente in Italia in diverse zone: il più noto è
quello del Monte Cimone in Emilia Romagna, la maggiore vetta
dell’Appennino tosco-emiliano,
|
Monte Cimone |
poi in Abruzzo, Sicilia,
Irpinia, ………Pietragalla è vicina alla nostra Gallicchio;
Sinisgalli sembra un cognome abbastanza diffuso nel paese (
specifico del potentino, in particolare di Gallicchio
>senis(“vecchio) + gallus (della Gallia) o
alterazione da siniscalcus, tardo latino <
dall’antico francese Siniscalk , titolo rispecchiante
la funzione del capostipite, “servitore anziano”, all’epoca
dell’influenza franca sull’Italia, dopo la caduta dei
Longobardi, con significato non più originale di
funzionario militare e amministrativo alle corti carolingie
o sovrintendente alla mensa del re in epoca merovingia.
Il grande Leonardo, di Montemurro (Castrum Montis
Murri, c/a anno 1000 intorno a insediamenti italo-greci)
ci perdoni.
|
Gallicchio |
Non appare simile ad un
cresta di gallo l’altura su cui poggia il paese.? È proprio
Gallicchio, cioè Gallicchiië, l’altura che ha una
forma che somiglia ad una piccola cresta di gallo e
contraddistingue la zona.
Monticchio lucano è la zona
sulla quale insiste un “piccolo monte”; Monticchio “Monticulus”<
Mont, antico tedesco, frazione di L’Aquila, ne fu il
primo insediamento; la stessa Aquila (accula) la
sagoma montana che richiamava l’aquila sveva; Capizzo, una
frazione di Magliano Vetere (SA) è un “piccolo capo”, “una
piccola cima”, “una cresta”; Gallese è un paese del
viterbese che ha come patrono il normanno San Famiano (+
1150); Gallicchio è Gallicchiië <
halu<gall<Gallech,“gallo”, “piccola cresta di gallo”.
Piccoli rispetto al monte per eccellenza, Castel del Monte,
Mont Saint Michel!
Alla fine ci chiediamo se
Gallicchio possa avere una etimologia di derivazione greca
(per Gallico, RC, è proposta un’improbabile etimologia
greco- ionica Geliuku, “terra del lupo”, ma dovrebbe
derivare, più semplicemente, da un gallic, come
nell’inglese; lo stesso potrebbe valere per la vicinissima
Gallicianò
). Penso proprio di no. Alle colonie greche erano
assegnati nomi per lo più ben definiti. Anche i toponimi
di derivazione greca o greco-bizantina sono, nella maggior
parte dei casi, ben individuabili e “leggibili”. La zona
sulla quale sorgerà la storica Gallicchio, pur in presenza
di reperti archeologici (monete-vasi), che, comunque,
testimoniano lo svolgersi di una certa forma di scambio
commerciale sia con le colonie ioniche più vicine
(Metaponto, Taranto, Eraclea, Turi, Sibari, Crotone) sia con
quelle tirreniche del litorale salernitano (Paestum, Velia)
attraverso il Vallo di Diano, fu toccata marginalmente dalla
pur intensa colonizzazione greca della Basilicata centrale.
Era abitata da insediamenti sparsi che insistevano sulla
valle dell’Agri (navigabile, pare, all’epoca). Appare
improbabile l’esistenza di un toponimo.
Tali nuclei di derivazione
osco-umbro-sannitica dovettero rimanere tali anche nel
periodo romano per iniziare ad essere aggregati dal
monachesimo italo-greco, probabilmente, intorno ad un primo
nucleo, che aveva come riferimento quello che è chiamato
monasterium,
fino alla costituzione di un vero e proprio insediamento, in
certo qual modo fortificato, ad opera del primo feudatario
normanno,
che seguì di poco la prima apparizione del toponimo. Da
allora casale e toponimo si identificarono.
In mancanza di altre fonti
probanti, anche questa rimane un’ipotesi, con alcuni, credo,
non peregrini motivi di riflessione, consapevole, tuttavia,
del proverbio spesso ricordato, con qualche differenza
fonetica, da una vecchia zia lucana: Addù so tanta ‘addë
a cantà nun fa mai giornë!