Dizionario dialettale di Gallicchio

a cura di  MARIA GRAZIA BALZANO

Introduzione

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L’aspirazione alla compilazione di un dizionario dialettale di Gallicchio non è recente.  L’idea mi era già balenatata diversi hanni fa, nel 1986 (allorquando da giovane studente universitaria avevo preparato e sostenuto un esame di dialettologia italiana sul dialetto lucano), un po’ per l' entusiasmo determinato  dalla scoperta di una disciplina così affascinante e un po’ per avere  finalmente compreso il significato  di quell’ incontro, vivo e  presente nella mia memoria,  con lo studioso Rainer  Bigalke, che nel 1976 era venuto a chiedere a noi alunni delle scuole medie di Gallicchio come si uccideva il maiale o come si faceva la lisciva, e di quel  servizio che avevo visto  sul primo canale della tv nazionale in cui lo stesso studioso parlava dela Basilicata come di un ponte di collegamento linguistico- dialettale tra la Sardegna e la Romania.  

L’avvento di internet e la pubblicazione on-line di molti dizionari dialettali di paesi italiani hanno fornito l’imput decisivo alla stesura,  più volte rimandata, di questo vocabolario che ha richiesto finora  quattro anni di lavoro e che certo  non può dirsi ultimato. L’ accesso alle reti telematiche e la globalizzazione delle comunicazioni e dei pensieri,  che impongono un linguaggio universale con parole come internet, file, spam, account, e-mail, formattazione, porta USB, ed un fiume di tante altre che sono entrate nell’uso comune, forniscono  anche un mezzo, fino a qualche anno fa  inimmaginabile,  sia per  far conoscere un piccolo dialetto di una piccola realtà locale in tutto il mondo sia per raggiungere tutti gli emigrati di Gallicchio, e soprattutto quelli d’oltreoceano, con le parole ancora indelebili e intatte nelle loro menti e sulle loro labbra.

Per quanto negli ultimi tempi si sia diffuso l'interesse per il dialetto e se ne stia operando una rivalutazione culturale, come dimostra il numero crescente di studi sull'argomento, esso viene spesso considerato a torto il fratello povero della lingua nazionale.  I dialetti italiani con la loro pluralità e  diversità da regione a regione, da città a città, da paese a paese, rappresentano invece un tesoro linguistico che nessun' altra nazione al mondo può vantare.  Il dialetto è  un grande mezzo di comunicazione e rappresenta per chi lo parla la forma espressiva più completa, perché è un linguaggio istintuale.  Col dialetto esprimiamo con grande spontaneità le nostre idee,  le nostre emozioni, i nostri sentimenti, come tristezza, gioia, rabbia, mitezza, amore, simpatia ai quali, molto spesso, la lingua italiana toglie intensità.  La differenza tra il rapporto che noi abbiamo col dialetto e quello che costruiamo con l'italiano è rispettivamente come il legame che sussiste con i propri familiari e il legame che si istituisce con un estraneo.  Il legame familiare può essere viscerale, conflittuale, impossibile, un rapporto estraneo può essere buono, intrigante, corretto.  Il dialetto ci appartiene, fa parte della nostra fisiologia, del nostro immaginario e scrivere in dialetto è come ricostruire un mosaico di cui si  possiedono tutte le tessere che sono  sparpagliate dappertutto, qua e là, nei luoghi della mente, ma nonostante tutto facili da trovare perché sono parte di noi.

Mancava fino ad oggi per il dialetto di Gallicchio una raccolta organica e sistematica di parole.  La mancanza di un precedente accresce il rischio non soltanto di errori, ma anche di omissioni, dovuto da una parte all'usura del tempo che ha cancellato termini di mestieri scomparsi o a rischio di estinzione, dall'altra all'accerchiamento e alle incursioni dei mass-media che il nostro dialetto, al pari di tutti gli altri, ha subito e giornalmente subisce e che finiscono per seppellire voci e parole che ormai non entrano più nell'uso quotidiano. L'influenza sempre più diffusa della lingua italiana sta, inoltre, impoverendo fortemente la valenza del dialetto, dando luogo al fenomeno del cosiddetto dialetto italianizzato. Centoquaranta anni addietro soltanto il 10% della popolazione italiana conosceva l'italiano e si esprimeva compiutamente in questa lingua, oggi invece, grazie all'accesso generalizzato all'istruzione di base, alla mobilità territoriale e alla diffusione dei mass-media,  la stragrande maggioranza dei cittadini parla e conosce l'italiano mentre quelli che parlano esclusivamente il dialetto costituiscono  una minoranza ridotta, alcuni giovani forse non lo capiscono neanche più. Il dialetto, al pari di una lingua, registra e documenta attraverso le parole la vita quotidiana, i comportamenti civili, le relazioni sociali, gli eventi naturali, i giochi, le costumanze e le tradizioni, le regole e i valori di una comunità, cambia, si modifica, si trasforma, può anche sparire. E muore quando non si rinnova e non si diffonde, ed insieme ad esso finisce in qualche modo per morire anche la comunità che lo esprime. Preservare il dialetto significa anche preservare i valori umani ed etici che in esso si ritrovano e che costituiscono uno dei più forti tratti identitari di una comunità. Questi valori non sono un dato a priori, ma sono storicamente definiti, e si trasmettono con una forza e una incisività che segnano la storia e la vitalità degli uomini e delle donne. Lo scopo di questo nostro lavoro, allora, è essenzialmente documentario e storico.

Questo  Dizionario Dialettale conta oltre 7900 voci.  Molte parole sono simili a quelle di altre varietà di dialetti lucani, altre sono invece tipiche di Gallicchio.  Molti  vocaboli annoverati sono quelli correnti, ma sono segnati anche termini dismessi e invecchiati, oltre che termini nuovi, con l'occhio rivolto a cogliere attraverso la registrazione delle varianti, le diverse forme che i lemmi possono assumere.

Uno dei primi problemi che mi si è  presentato nella compilazione del dizionario è stato quello della  trascrizione fonetica.  La rappresentazione per iscritto dei suoni parlati è stato sempre di difficilissima attuazione e solo in maniera molto approssimata la scrittura può dar conto di  quella che è l’evoluzione fonetica di una parlata. Le lingue codificate e consacrate dalla letteratura hanno regole sicure, dettate dalla grammatica, la quale, anche se in continua evoluzione e diacronicamente aperta a soluzioni diverse, fornisce  delle regole.  E’ vero che il dialetto lucano e in particolare quello Gallicchiese non ha molti suoni che si distacchino da quelli della lingua italiana d’uso, ma questo non rende agevole la scelta dei segni di trascrizione fonetica ed ancor più la lettura.  La grafia, anche quella dei dialetti, non può essere determinata dal capriccio personale. Esiste un sistema di trascrizione internazionale che tende a fissare graficamente i fonemi in modo univoco, tale cioè da far corrispondere ad ogni suono articolato un proprio simbolo e, eliminando gli inconvenienti insiti negli alfabeti ufficiali delle varie lingue, ha lo scopo pratico di mettere gli studiosi, di qualunque lingua essi siano, in condizioni di leggere alla stessa maniera un determinato testo e conseguentemente di valutarne i suoni.  L’uso del sistema fonetico internazionale è tuttavia più adatto a una pubblicazione per specialisti, che per un testo come questo da fruire tramite internet. Mi è sembrato quindi più opportuno agire con piccoli espedienti grafici sulle normali lettere dell’alfabeto italiano per rendere al meglio quella che è la fonetica del  dialetto di Gallicchio. Molto importante per una grafia che tenga conto anche della particolarità dei suoni è innanzitutto la distinzione delle vocali aperte dalle vocali chiuse. La e, la o chiuse sono indicate con l’accento acuto; la e, la o aperte sono indicate con l’accento grave. I suoni aperti vanno distinti dai suoni chiusi non solo per la pronuncia, ma anche perché possono determinare il significato di un termine.  Un’altra norma essenziale per la grafia fonetica è il rispetto della vocale indistinta, o muta, sia essa in fine o nel corpo della parola. La muta è una vocale dal suono evanescente, ma vero: essa esiste e bisogna farla sentire nella pronunzia, bisogna darle corpo nella grafia. Se vogliamo trascrivere nel dialetto la parola bar, per indicare il noto punto di incontro dove possiamo degustare un buon caffè, scriveremo bar, perché dopo la r non c' è nulla. Se invece scriviamo Bar’ per indicare la città di Bari, commettiamo un errore, perché nella pronunzia dialettale non c’è nessuna elisione.  Per indicare la città si deve scrivere Bar∂, oppure,  Barë,  con la e muta espressa, perché la i finale non viene elisa: è muta e fa sentire la sua esistenza, né il segno dell’apostrofo può indicare tale suono, perché esso indica una elisione: questo suono dai linguisti  è indicato con il segno  ,  una specie di e capovolta, oppure ë, il segno che ho adottato.  Più complesso sarebbe il discorso sulle consonanti, le quali ubbidiscono a norme di fonetica internazionale e di cui tratterò approfonditamente in Fonologia del Gallicchiese.  È , tuttavia, opportuno fare un esempio, soprattutto per rispondere a un quesito che viene sempre fatto quando si parla della difficoltà di trasportare sulla carta la variegata gamma di suoni che formano il dialetto: come si scrive la parola che indica la forma di pane, quella da un chilo o  da due chili? Il termine inizia con la sibilante schiacciata dell’italiano scemo, seguita dall’ occlusiva velare sorda,  c, con una consonante, cioè, che viene tecnicamente definita fricativa alveopalale sorda, per la quale mi è sembrato utile adottare il simbolo š indicato dai linguisti. Ho scritto, quindi, šcanàtë  (così si chiama la pagnotta di cui sopra in Gallicchiese).

Una altra grande difficoltà incontrata nella stesura del dizionario è stata quella di rendere in italiano il significato di alcuni termini dialettali. Molte parole dialettali in realtà sono quasi intraducibili nella lingua italiana.  Proprio per rendere un migliore servizio al significato di ogni parola  ho utilizzato moltissimi esempi d'uso, nel riportare i quali ho tenuto conto, graficamente, del largo impiego nel dialetto gallicchiese dell’aferesi, dell’elisione, della sincope, del raddoppiamento fono-sintattico. I numerosi proverbi e modi dire, che ho registrato nel dizionario ed ho poi raccolto in una apposita sezione,  mi sono sembrati utili per rappresentare meglio il mondo culturale di riferimento del dialetto di Gallicchio, come pure i giochi, i cibi, gli usi rituali e folcloristici, i toponimi e soprannomi che sono descritti nei lenmmi corrispondenti alla loro denominazione. Per l’etimo di alcune  parole, rimando a  Lessico del gallicchiese.

Questo dizionario non è chiaramente completo.  Molti vocaboli  una volta quotidianamente utilizzati sono andati definitivamenti persi altri  forse si possono recuperare anche con l’aiuto di quanti, consultando il dizionario vorranno segnalare, oltre  agli  inevitabili errori e inasettezze che riscontreranno,  tutti quei  termini che recupereranno dall’uso quotidiano e  dalla  loro memoria.

Nella ricerca e raccolta delle voci mi si sono già avvalsa dell’apporto di  tutti coloro con i quali vivo e che hanno fornito un prezioso contributo a questo dizionario. La mia affettuosa gratitudine va quindi innanzitutto a mia madre Teresa, ai miei fratelli Rocco, Mario e Enzo,  alle mie cognate Luigina, Teresa e Carmela, ai miei nipoti Maria Teresa, Filippo R., Luigi, Filippo, Paolo, Francesca, Giuseppe e Mariano, a zia Maria e zia Lucia,  ai miei vicini di casa Luigi e Lucia, Maria e Carmelina, Ida  e Rosa, Rocchina e Tommaso, Maria, ai negozianti del quartiere Mario e Libera, alle amiche di “mpéd’ a térrë” Maria e Lucia e a tutti gli altri amici la cui conversazione ha arricchito le mie annotazioni.

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Dedico questo lavoro a mio padre, Màstë Fëlìppë, al quale la morte prematura ha negato la gioia di poter contribuire attivamente a questa mia raccolta lessicale.

 

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