IL "GALLICCHIESE"

IN... BASILICATA

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

Il dialetto gallicchiese

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Posizione del dialetto di Gallicchio all’interno dei dialetti della Basilicata (2)


Si deve, infine, a Trumper-Chiodo, (1999) uno studio sui testi in greco dell’area Lausberg che fanno emergere una situazione completamente diversa da quella vista per la Calabria a vocalismo siciliano (nello stesso periodo o lievemente più tardi). Nel 1400-1500, negli atti greci del monastero di Carbone, si trova una situazione di fluttuante variabilità: Ē > /i/ nel 16% dei casi, Ō > /u/ nel 13%, contro l’84% dei casi Ē > /e/ ed Ō > /o/. Fra l’altro questa situazione tardo medievale concorda bene con quella rilevata in tre parlate attuali (Trebisacce, Oriolo, Tursi), dove Ē>/i/ per il 30% dei casi, Ō > /u/ per il 26%, mentre Ē > /e/ per il 70% ed Ō > /o/ per il 74% (Trumper-Chiodo 1999: 28-29).

Ritornando al dialetto di Gallicchio, si può notare come il suo vocalismo tonico si avvici al sistema napoletano per /Ě/ e /Ŏ/, dittongati o non dittongati a seconda delle condizioni finali, al sistema sardo per la confluenza degli esiti di /Ǔ/ e /Ū/ e al sistema siciliano per la parziale confluenza /Ō/, /Ǔ/> u.  L’esito di Ē > /i/ , altro tratto caratteristico del vocalismo di tipo siciliano, si trova soltanto nelle forme condizionate da metafonia e in altri pochissimi casi come come per es. sëngìrë < SINCĒRA (chiara), paiìsë <PAĒSE(M) (paese). 

Se vogliamo, quindi, dare credito all’ipotesi di Parangeli,Macarella e Caratù, di un sistema vocalico originario nella Lucania centro-meridionale di tipo siciliano le forme indeclinabili del gallicchiese con  la chiusura di /Ō/ in /u/, come per es. gli avverbi e sostantivi  in –ŌNE  (a l’) attandùnë (a tentoni) , (a l’) ammëcciùnë  (di nascosto), patrùnë (padrone/ padrona), (persona/persone), mattùnë (mattone/mattoni),tëzzùnë (tizzone/tizzoni), continuerebbero esiti più antichi secondo un sistema a sole cinque vocali, mentre l’alernanza metafonetica /o/, /u/ che distingue per es. le forme del singolare da quelle del plurale, come per es. dëlórë (dolore)/dëlùrë (dolori),mëtëtòrë (mietitore)/mëtëtùrë (mietitori), cafónë (cafone/cafùnë (cafoni), fauciònë (falce fienaia)/fauciùnë (falci fienaie), sarebbe un’ innovazione determinata  dal contatto con il  sistema vocalico napoletano.

La situazione si ribalta se invece si accoglie l’ipotesi dell’arcaicità della zona calabro-lucana e della zona centrale, pechè in questo caso gli esiti con /Ō/>/u/ non condizionati da metafonia sarebbero più recenti. Si potrebbe pensare che questi esiti possano aver subito l’ inflenza del vocalismo bizantino, che secondo alcuni studiosi interagendo con il vocalismo romanzo a quattro gradi e sette vocali, provocò l’attrazione dei continuatori di /Ē/, /Ō/ nell’orbita dei continuatori delle vocali /Ĭ/ e /Ǔ/ determinando il vocalismo siciliano, a tre gradi e cinque vocali. Che nei territori dell’Italia meridionale soggetti a Bisanzio doveva essere diffuso un ampio bilinguismo romanzo-bizantino è stato ampiamente dimostrato. Per il periodo normanno il bilinguismo è testimoniato direttamente o indirettamente dai vari documenti che ci sono giunti. Al di là di come poi questo bilinguismo si esplicasse effettivamente, è difficile pensare che i due gruppi di parlanti, dovendo convivere in tutta una serie di circostanze, non avessero sviluppato una reciproca comunicazione. Per quanto riguarda la Basilicata, è stato notato che mentre la grecità della Calabria e della Puglia meridionale si può attribuire soprattutto all'influsso dei soldati e delle persone che li seguivano durante le campagne militari, la grecità ai confini calabro-lucano-campani, anche in zone che non sono mai state sotto il diretto dominio bizantino, è dovuta ai monaci basiliani. Con i monaci si muovevano dei nuclei di popolazioni greche, che venivano immessi nei territori longobardi. Questi nuclei, mentre propagavano direttamente la razza greca con le loro famiglie originarie e con quelle nuove sorte, o nello stesso ambito di quelle immigrate o indirettamente per mezzo dei matrimoni misti con la gente del luogo, servivano come veicolo e mezzo di diffusione di nuove idee e lingua, di nuovi e diversi costumi. La Gallicchio medievale che presumibilmente nasceva intorno al monastero basiliano di cui si ha notizia nel 1060, poteva conoscere la lingua greca, perché nei monasteri di quel tipo si officiava e si pregava in lingua greca e si predicava, forse, anche nella stessa lingua o, comunque, doveva essere comune fra i predicatori l'uso di vocaboli greci, più naturali e più consoni ai riti che nelle chiese ogni giorno si svolgevano, fatto che contribuì certamente a immettere nei linguaggi locali vocaboli greci di ogni tipo.

Come vedremo parlando del lessico gallicchiese, Gallicchio conosce molti termini di origine greca per i quali bisogna guardare più al greco medioevale, quello, appunto, del periodo bizantino che a quello classico.


 

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