IL "GALLICCHIESE"

IN... BASILICATA

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

Il dialetto gallicchiese

Ti trovi in: Home->Il "Gallicchiese" in Basilicata> Il dialetto gallicchiese (2)

 

 

|Schizzo geo-storico di Gallicchio| Posizione del dialetto gallicchiese all'interno dei dialetti della Basilicata|

|Fonologia e fonetica del gallicchiese| Morfologia e sintassi del gallicchiese| Lessico del gallicchiese| home|

 


Nota sull’uso dei segni diacritici.

Per non disorientare il lettore, ho voluto utilizzare nella trascrizione degli esempi in dialetto gli stessi segni diacritici impiegati per il dizionario,  anche se la tecnicità dell’argomento avrebbe richiesto l’uso di alcuni segni più specifici dell’alfabeto fonetico internazionale come per esempio la [k] per la /c/ velare, la [j] per /i/ semivocale, [ts] per /z/ affricata dentale sorda ecc..


Posizione del dialetto di Gallicchio all’interno dei dialetti della Basilicata (1)


Rainer Bigalke, nell’introduzione al suo Dizionario Dialettale della Basilicata del 1980 dopo aver distinto in base allo sviluppo delle vocali toniche latine cinque zone in Basilicata, colloca Gallicchio, insieme ad un altro gruppo di paesi, nella zona centrale, quella che il  filologo Heinrich Lausberg (1939) aveva definito Vorposten (Avamposto) dopo le sue inchieste dialettologiche nella parte meridionale della Basilicata del 1937, e che lo stesso Bigalke aveva esplorato nel 1976 individuando nel dialetto di questi paesi analogie con il romeno (lo stesso vocalismo di tipo asimmetrico) e con i prestiti latini dell’Albanese. Sempre secondo Bigalke (1980), però, poiché nell’antichità la zona calabro-lucana (una delle cinque individuate, caratterizzata dal vocalismo di tipo sardo) raggiungeva il fiume Sauro e corrispondeva alla diocesi di Anglona-Tursi, di cui faceva parte Gallicchio, insieme ad altre localià della zona centrale, i confini ecclesiastici potrebbero essere identici a quelli linguistici-dialettali. Quindi anche Gallicchio, che pure fa parte della zona centrale potrebbe rimandarci alla zona calabro-lucana per la presenza di alcune voci fonologicamente e morfologicamente tipiche di quest’ultima e addirittura alla zona siciliana poiché vi troviamo relitti di vocalismo siciliano.

Effettivamente il dialetto di Gallicchio che dovrebbe avere un vocalismo tonico di tipo romeno così strutturato:

con fusione degli esiti delle vocali latine  /Ē/, /Ĕ/, /Ĭ/ in /e/, e separazione dell’esito di /Ŏ/, /Ō/ in /o/ da quello di /Ŭ/, /Ū/ in /u/, presenta in molti casi la confluenza della /Ō/ in /u/ tipica del vocalismo siciliano, per es. CŌDA> cùdë (coda); CŌHORTE> cùrtë (corte); CŌMPUTARE> cundà (contare); CŌSERE (< CONSUERE)> cùsë (cucire); CŌPULA>cùcchië , FŌRMA > fùrmë (forma delle scarpe); FRŌNDE > frùnnë (fronda), NEPŌTE > nëpùtë (nipote) NŌS VŌS>  nùië, vùië (noi, voi);  VŌCE> vùcë (voce) ; SŌLA> sùlë (sola).

Il fatto che sia nella zona calabro-lucana che in quella centrale identiche vocali etimologiche  siano andate incontro a una diversità di esiti e che manchi in queste zone la regolarità fonetica del sistema arcaico di tipo sardo e di quello di tipo balcanico, è stato evidenziato da tempo da diversi studiosi.  Il sistema vocalico originario, a contatto con il vocalismo romanzo comune (napoletano) a nord e quello di tipo siciliano a sud, sembra aver assorbito tutta una serie di innovazioni, soprattutto di tipo metafonetico, che ne hanno oscurato l’arcaicità.

La metafonia, come si è già visto, è un’ alterazione fonetica proprio delle vocali accentate. Il dialetto di Gallicchio conosce una metafonia che chiude le vocali  /Ē/, /Ĭ/ latine, in sillaba aperta, in /i/  e la vocale /Ō/, sempre in sillaba aperta , in /u/, quando le vocali finali atone finale siano state /-I/ ed /-U/. Nelle stesse condizioni le vocali toniche latine /Ĕ/ e /Ŏ/ in sillaba aperta danno luogo rispettivamente ai dittonghi /ìe/ e /ùo/. Nelle forme condizionate da metafonia gli esiti di /Ē/ e /Ō/ si vanno quindi a confondere con gli esiti di /Ĭ/ e /Ŭ/, per es. TRAPĒTU> u trappìtë (il frantoio), SĬTULU> u sìcchiië (il secchio), VŌTU> u vùtë (il voto, l’offerta ), NǓCE> a nùcë (la noce).

Alcuni ricercatori legati alle imprese della Carta dei Dialetti Italiani  e del Nuovo Atlante fonetico lucano hanno messo addirittura  in discussione l’interpretazione di Lausberg (1939), poi ripresa da Bigalke (1980), di una Lucania distinta in zone a sistema sardo e sistema balcanico, perché fondata sulla scelta di alcune sole forme ritenute rappresentative di una originaria evolozione fonetica di tutta una comune area calabro lucana, ignorando sia la pluralità di esiti per identiche vocali filologiche, sia la minuta frantumazione di tutto un territorio di esiti spesso molto diversi da dialetto a dialetto. La pecularietà del sistema vocalico della zona calabro-lucana, allo stesso modo di quello della Sardegna, è la fusione in un unico suono senza differenziazionedi timbro delle uguali vocali latine quantitivamente distinte. Lausberg (1948, 1971 [1969])  e Rolfs (1966) avevano riscontrato una costante distinzione tra i continuatori di /Ĭ/, /Ŭ/ e di /Ē/, /Ō/ che avrebbero trovato conferma nella presenza di alcune forme di /Ē/, /Ō/ dittongate per metafonia allo stesso modo di /Ĕ/, /Ŏ/.

Lo studioso che per primo ha rifiutato apertamente questa teoria è stato Oronzo Parangeli (1971) secondo il quale l’analisi del Rohlfs e del Lausberg è troppo semplicistica, perché nel sardo la confusione degli esiti di /Ē/, /Ō/ con /Ĕ/, /Ŏ/ è antica e generalizzata, nei dialetti lucani della zona calabro-lucana sarebbe invece parziale (limitata per lo più alle condizioni non metafonetiche) e recente. Siccome la metafonia distingue gli esiti delle lunghe latine dalle brevi, il sistema vocalico richiamerebbe più le condizioni siciliane che quelle sarde.

L’ipotesi dello studioso salentino è stata sviluppata, anche sulla base di nuove ricerche, in numerosi e approfonditi studi da Mancarella e Caratù. Il primo individua un’area centrale cosentina-lucana-pugliese caratterizzata da una continua condizione di instabilità e di parziale equilibrio, in contrasto con i più compatti sistemi siciliano e napoletano (Mancarella 1980). Secondo Macarella tutti i dialetti già facenti parte dell’ antico territorio della diocesi di Tursi-Anglona continuano un sistema fonetico di tipo sicilano, che solo in parte e con modalità diverse da zona a zona è stato raggiunto da sporadiche innovazioni di tipo napoletano, conclusione scaturita dalla diversità degli esiti di uguali vocali etimologiche e anche da un confronto con le diverse aree linguistiche della stessa Lucania che a seconda della loro maggiore o minore varietà di esiti, presentano oggi un sistema fonetico instabile e oscillante.

Sulla stessa linea interpretativa si colloca Caratù (1988, 1993), il quale sostiene che il vocalismo dell’area Lausberg rivelerebbe un tipo siciliano in via di sfaldamento, per cui mantiene forti riserve sulla teoria dell’arcaicità dell’area Lausberg e insiste sulla sostanziale sicilianità della Lucania meridionale.

Ma l’ipotesi che l’area Lausberg sia molto più vicina al sardo e che presenti un carattere “ultraconservativo” non è stata mai abbandonata del tutto. In un’ampia e articolata analisi della questione Savoia (1997), alla luce di nuovi dati raccolti sul campo nei centri dell’area calabro-lucana arcaica (Albidona nella zona orientale, inizialmente indagata da Lausberg, e Castelluccio Superiore, PZ, nella zona occidentale), sottolinea come emerga chiaramente che gli esiti di /Ĕ/, /Ō/ sono distinti da quelli di /Ĭ/, /Ǔ/, perché nella maggior parte del lessico di base i continuatori di /Ē/, /Ō/ presentano l’identico risultato di quelli di /Ĕ/, /Ŏ/ (dittongamento metafonetico). È vero che in entrambe i punti d’inchiesta compaiono alternanze metafonetiche per /Ē/, /Ō/ tipiche dei dialetti centro-meridionali con sistema romanzo comune (napoletano), oppure forme lessicali con esiti chiaramente di tipo siciliano, ma si tratterebbe di piccoli sottinsiemi che indiziano verso una situazione di contatto avvenuto in epoche successive con le varietà circostanti. Secondo Savoia :“non appare possibile spiegare le proprietà distribuzionali dei timbri vocalici del sistema di tipo sardo della zona arcaica calabro-lucana attraverso una ‘ritirata’ del tipo siciliano. Il punto cruciale è la mancanza di ‘ipercorrettismi’, cioè di casi di errato ripristino di /e/ /o/ da /Ī/, /Ū/ etimologici, come ci dovremmo aspettare se veramente il sistema di tipo sardo fosse il risultato dell’arretramento di un vocalismo di tipo siciliano. Vi sono invece diversi elementi che confermano l’antichità della sistemazione di tipo sardo. Infatti sia il sistema ‘siciliano’ sia quello ‘napoletano’ identificano in un unico esito i continuatori di /Ĭ/, /Ē/ e quelli di  /Ǔ/, /Ō/; resta perciò inspiegabile la separazione degli esiti di /Ĭ/, /Ǔ/ da quella di /Ē/ /Ō/ nei dialetti dell’area Lausberg. […]” (Savoia, 1997, p. 373