Nota sull’uso dei segni diacritici.
Per non
disorientare il lettore,
ho voluto utilizzare
nella trascrizione degli esempi in dialetto gli
stessi segni diacritici impiegati per il dizionario, anche se la tecnicità
dell’argomento avrebbe richiesto l’uso di alcuni segni più specifici
dell’alfabeto fonetico internazionale come per esempio la [k] per la
/c/
velare, la [j] per
/i/ semivocale, [ts] per
/z/ affricata dentale sorda ecc.. |
Posizione del
dialetto di Gallicchio all’interno dei dialetti della Basilicata (1)
Rainer Bigalke, nell’introduzione al suo Dizionario Dialettale
della Basilicata del 1980 dopo aver distinto in base allo sviluppo delle vocali
toniche latine cinque zone in Basilicata, colloca Gallicchio, insieme ad un
altro gruppo di paesi, nella zona centrale, quella che il filologo
Heinrich Lausberg (1939) aveva definito Vorposten (Avamposto) dopo le sue
inchieste dialettologiche nella parte meridionale della Basilicata del 1937, e
che lo stesso Bigalke aveva esplorato nel 1976 individuando nel dialetto di
questi paesi analogie con il romeno (lo stesso vocalismo di tipo asimmetrico) e
con i prestiti latini dell’Albanese. Sempre secondo Bigalke (1980), però, poiché
nell’antichità la zona calabro-lucana (una delle cinque individuate,
caratterizzata dal vocalismo di tipo sardo) raggiungeva il fiume Sauro e
corrispondeva alla diocesi di Anglona-Tursi, di cui faceva parte Gallicchio,
insieme ad altre localià della zona centrale, i confini ecclesiastici potrebbero
essere identici a quelli linguistici-dialettali. Quindi anche Gallicchio, che
pure fa parte della zona centrale potrebbe rimandarci alla zona
calabro-lucana per la presenza di alcune voci fonologicamente e
morfologicamente tipiche di quest’ultima e addirittura alla zona siciliana
poiché vi troviamo relitti di vocalismo siciliano.
Effettivamente il dialetto di Gallicchio che
dovrebbe avere un vocalismo tonico di tipo romeno così strutturato:
con fusione degli esiti delle vocali latine /Ē/,
/Ĕ/, /Ĭ/ in /e/, e separazione dell’esito di /Ŏ/, /Ō/ in /o/ da quello di /Ŭ/,
/Ū/ in /u/, presenta in molti casi la confluenza della /Ō/ in /u/ tipica del
vocalismo siciliano, per es. CŌDA> cùdë (coda); CŌHORTE> cùrtë
(corte); CŌMPUTARE> cundà (contare); CŌSERE (< CONSUERE)> cùsë
(cucire); CŌPULA>cùcchië , FŌRMA > fùrmë (forma delle scarpe);
FRŌNDE > frùnnë (fronda), NEPŌTE > nëpùtë (nipote) NŌS VŌS>
nùië, vùië (noi, voi); VŌCE> vùcë (voce) ; SŌLA> sùlë
(sola).
Il fatto che sia nella zona calabro-lucana
che in quella centrale identiche vocali etimologiche siano andate incontro
a una diversità di esiti e che manchi in queste zone la regolarità fonetica del
sistema arcaico di tipo sardo e di quello di tipo balcanico, è stato evidenziato
da tempo da diversi studiosi. Il sistema vocalico originario, a contatto con il
vocalismo romanzo comune (napoletano) a nord e quello di tipo siciliano a sud,
sembra aver assorbito tutta una serie di innovazioni, soprattutto di tipo
metafonetico, che ne hanno oscurato l’arcaicità.
La
metafonia, come si è già visto, è un’ alterazione fonetica proprio delle vocali
accentate. Il dialetto di Gallicchio conosce una metafonia che chiude le vocali
/Ē/, /Ĭ/ latine, in sillaba aperta, in /i/ e la vocale /Ō/, sempre in sillaba
aperta , in /u/, quando le vocali finali atone finale siano state /-I/ ed /-U/.
Nelle stesse condizioni le vocali toniche latine /Ĕ/ e /Ŏ/ in sillaba aperta
danno luogo rispettivamente ai dittonghi /ìe/ e /ùo/. Nelle forme condizionate
da metafonia gli esiti di /Ē/ e /Ō/ si vanno quindi a confondere con gli esiti
di /Ĭ/ e /Ŭ/, per es. TRAPĒTU> u trappìtë (il frantoio), SĬTULU> u
sìcchiië (il secchio),
VŌTU> u vùtë
(il voto, l’offerta ), NǓCE> a nùcë (la noce).
Alcuni ricercatori legati alle imprese della
Carta dei Dialetti Italiani e del Nuovo Atlante fonetico lucano hanno messo
addirittura in discussione l’interpretazione di Lausberg (1939), poi
ripresa da Bigalke (1980), di una Lucania distinta in zone a sistema sardo e
sistema balcanico, perché fondata sulla scelta di alcune sole forme ritenute
rappresentative di una originaria evolozione fonetica di tutta una comune
area calabro lucana, ignorando sia la pluralità di esiti per identiche
vocali filologiche, sia la minuta frantumazione di tutto un territorio di
esiti spesso molto diversi da dialetto a dialetto. La pecularietà del
sistema vocalico della zona calabro-lucana, allo stesso modo di quello della
Sardegna, è la fusione in un unico suono senza differenziazionedi timbro
delle uguali vocali latine quantitivamente distinte. Lausberg (1948, 1971
[1969]) e Rolfs (1966) avevano riscontrato una costante distinzione tra i
continuatori di /Ĭ/, /Ŭ/ e di /Ē/, /Ō/ che avrebbero trovato conferma nella
presenza di alcune forme di /Ē/, /Ō/ dittongate per metafonia allo stesso
modo di /Ĕ/, /Ŏ/.
Lo studioso che per primo ha rifiutato
apertamente questa teoria è stato Oronzo Parangeli (1971) secondo il quale
l’analisi del Rohlfs e del Lausberg è troppo semplicistica, perché nel sardo
la confusione degli esiti di /Ē/, /Ō/ con /Ĕ/, /Ŏ/ è antica e generalizzata,
nei dialetti lucani della zona calabro-lucana sarebbe invece parziale
(limitata per lo più alle condizioni non metafonetiche) e recente. Siccome
la metafonia distingue gli esiti delle lunghe latine dalle brevi, il sistema
vocalico richiamerebbe più le condizioni siciliane che quelle sarde.
L’ipotesi dello studioso salentino è stata
sviluppata, anche sulla base di nuove ricerche, in numerosi e approfonditi
studi da Mancarella e Caratù. Il primo individua un’area centrale
cosentina-lucana-pugliese caratterizzata da una continua condizione di
instabilità e di parziale equilibrio, in contrasto con i più compatti
sistemi siciliano e napoletano (Mancarella 1980). Secondo Macarella tutti i
dialetti già facenti parte dell’ antico territorio della diocesi di
Tursi-Anglona continuano un sistema fonetico di tipo sicilano, che solo in
parte e con modalità diverse da zona a zona è stato raggiunto da sporadiche
innovazioni di tipo napoletano, conclusione scaturita dalla diversità degli
esiti di uguali vocali etimologiche e anche da un confronto con le diverse
aree linguistiche della stessa Lucania che a seconda della loro maggiore o
minore varietà di esiti, presentano oggi un sistema fonetico instabile e
oscillante.
Sulla stessa linea interpretativa si colloca
Caratù (1988, 1993), il quale sostiene che il vocalismo dell’area Lausberg
rivelerebbe un tipo siciliano in via di sfaldamento, per cui mantiene forti
riserve sulla teoria dell’arcaicità dell’area Lausberg e insiste sulla
sostanziale sicilianità della Lucania meridionale.
Ma l’ipotesi che l’area Lausberg sia molto più vicina al sardo e che
presenti un carattere “ultraconservativo” non è stata mai abbandonata del
tutto. In un’ampia e articolata analisi della questione Savoia (1997), alla
luce di nuovi dati raccolti sul campo nei centri dell’area calabro-lucana
arcaica (Albidona nella zona orientale, inizialmente indagata da Lausberg, e
Castelluccio Superiore, PZ, nella zona occidentale), sottolinea come emerga
chiaramente che gli esiti di /Ĕ/, /Ō/ sono distinti da quelli di /Ĭ/, /Ǔ/,
perché nella maggior parte del lessico di base i continuatori di /Ē/, /Ō/
presentano l’identico risultato di quelli di /Ĕ/, /Ŏ/ (dittongamento
metafonetico). È vero che in entrambe i punti d’inchiesta compaiono
alternanze metafonetiche per /Ē/, /Ō/ tipiche dei dialetti
centro-meridionali con sistema romanzo comune (napoletano), oppure forme
lessicali con esiti chiaramente di tipo siciliano, ma si tratterebbe di
piccoli sottinsiemi che indiziano verso una situazione di contatto avvenuto
in epoche successive con le varietà circostanti. Secondo Savoia :“non appare
possibile spiegare le proprietà distribuzionali dei timbri vocalici del
sistema di tipo sardo della zona arcaica calabro-lucana attraverso una
‘ritirata’ del tipo siciliano. Il punto cruciale è la mancanza di
‘ipercorrettismi’, cioè di casi di errato ripristino di /e/ /o/ da /Ī/, /Ū/
etimologici, come ci dovremmo aspettare se veramente il sistema di tipo
sardo fosse il risultato dell’arretramento di un vocalismo di tipo
siciliano. Vi sono invece diversi elementi che confermano l’antichità della
sistemazione di tipo sardo. Infatti sia il sistema ‘siciliano’ sia quello
‘napoletano’ identificano in un unico esito i continuatori di /Ĭ/, /Ē/ e
quelli di /Ǔ/, /Ō/; resta perciò inspiegabile la separazione degli
esiti di /Ĭ/, /Ǔ/ da quella di /Ē/ /Ō/ nei dialetti dell’area Lausberg. […]”
(Savoia, 1997, p. 373